Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, martedì ha dichiarato che l'azione sui cambiamenti climatici è diventata un fatto inarrestabile; partendo da qui ha espresso la sua speranza che gli Stati Uniti, guidati dal nuovo presidente eletto Donald J. Trump non escano dall’accordo globale finalizzato allo “svezzamento” dell’utilizzo dei combustibili fossili.

L’elezione dell’imprenditore newyorkese è avvenuta in concomitanza con la COP22 – la riunione di quasi 200 nazioni in Marocco per trovare metodologie che riesca ad attuare gli accordi stipulati nella Convention di Parigi del 2015 volti a limitare le emissioni di gas serra.

Il numero uno delle Nazioni Unite ha espresso la sua speranza che il Trump non vada contro l’iniziativa di aziende, stati e città statunitensi, che stanno spingendo per limitare i danni del riscaldamento globale. Le intere forze del mercato globale stanno spingendo verso l’energia pulita, lontano dai combustibili fossili, cosa che un «uomo d’affari di grande successo come Trump» (parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite) dovrebbe capire.

L’importanza e la potenza degli accordi di Parigi sono sorrette dal fatto che il documento è stato ratificato e formalizzato in tempo record, con una formale adozione da più di cento nazioni – compresi, per l’appunto, gli States. Obiettivo dell’accordo: limitare ed infine eliminare (in maniera graduale) le emissioni nette dei gas ad effetto serra di questo secolo.

L’accordo è stato visto come una svolta, dopo più di due decenni di negoziati, guidati per la maggior parte da ricerche di maggiore certezza scientifica che le emissioni – causa del surriscaldamento – fossero di origine antropiche (quindi provocate per mano dell’uomo).

La speranza di Ban Ki-moon è proprio quella che Trump faccia cadere le sue opinioni negazioniste sul cambiamento climatico e che resti in linea con quanto fatto dal presidente uscente Barack Obama.

Anche se la fiamma della speranza sembra essere labile.

Ma i primi segnali che arrivano dal neo-eletto presidente non sono rassicuranti: i primi dubbi di una sua eventuale collaborazione sono presenti all’interno delle policies del suo programma elettorale: nella sezione “Energy” elenca i key issues che guideranno la sua strategia d’azione:

«Il petrolio ed il gas naturale mantengono 10 milioni di posti di lavoro altamente remunerativi e possono creare altri 400.000 nuovi posti di lavoro all'anno»«Hillary Clinton (se verrà eletta) continuerà con gli obiettivi del presidente Obama di ridurre le emissioni di metano del 40-45% [...] il che farà aumentare drasticamente il costo del gas naturale»

«Hillary Clinton (se verrà eletta) intensificherà la battaglia contro le energie non rinnovabili, scatenando l'EPA (Enviromental Protection Agency, Agencia per la Protezione Ambientale), controllando ogni aspetto della nostra vita»

«Secondo la Heritage Foundation, entro il 2030, le restrizioni di energia Obama-Clinton elimineranno un altro mezzo milione di posti di lavoro di produzione di energie non rinnovabili, riducendo la produzione economica statunitense di $ 2,5 miliardi di dollari»

Oltre a questo, il problema della nomina del nuovo Segretario dell'Energia Statunitense: se Trump manterrà fede alle sue dichiarazione, a prendere il posto del 13° Segretario Ernest Moniz (fisico, già Segretario con Bill Clinton) sarà Harold Glenn Hamm, imprenditore statunitense, coetaneo di Trump, 39esimo per ricchezza negli Stati Uniti e 84esimo al mondo, noto ai più per i suoi investimenti nel business del petrolio e del gas naturale.

Non ci resta, pertanto, che aspettare l'effettiva entrata in vigore di Trump col suo direttivo, sperando che i messaggi di incontro dell'uscente Segretario Generale delle Un Ban Ki-moon siano, se non accettati completamente, almeno presi in considerazione.