Il boss Giuseppe Setola, capo dell'ala stragista del clan dei casalesi, ha deciso di pentirsi. Il clamoroso annuncio è stato dato dallo stesso Setola al processo in svolgimento a Santa Maria Capua Vetere per l'omicidio dell'imprenditore Domenico Noviello, nel corso di un collegamento in video-conferenza dal carcere milanese di Opera. Nel corso del collegamento, Setola si è rivolto direttamente al pubblico ministero Alessandro Milita affermando di voler diventare collaboratore di giustizia: "Venga da me subito, le dirò tutto, ma mettete in salvo la mia famiglia, altrimenti i Bidognetti li uccidono tutti".

Chi è Giuseppe Setola

Giuseppe Setola, 44 anni, è il più efferato killer del clan dei casalesi; ha confessato 46 omicidi ed è stato finora condannato a 7 ergastoli in via definitiva per 15 omicidi, ma altre sentenze lo attendono, tra cui quella per l'accusa di essere stato il mandante della strage di Castelvolturno, nella quale furono uccisi sette immigrati. E' stato arrestato nel 2009 dopo un anno di latitanza e lo scorso anno è stata arrestata anche la moglie, accusata di trasmettere al clan i messaggi che il marito le affidava durante i colloqui in carcere. Nel processo in corso a Santa Maria Capua Vetere, si autoaccusato dell'omicidio Noviello, ucciso nel 2008 dopo aver denunciato le estorsioni alla sua autoscuola subite dal clan dei casalesi, indicando anche i suoi complici, ma precisando "non mi pento".

Ora, il cambio d'idea, sottolineato anche dall'esortazione rivolta ad un altro imputato, Giovanni Letizia: "Giova', lo so che non sei d'accordo, ma la malavita è finita".

La prudenza della Procura

Il pentimento di Setola, se confermato, arriva a pochi mesi di distanza da quello altrettanto clamoroso di Antonio Iovine, un altro boss dei Casalesi che ha voltato le spalle al clan, ma la Procura mantiene un profilo di prudenza in attesa di verificare con i fatti le dichiarazioni del killer di Casal di Principe.

Giuseppe Setola non è infatti nuovo ad esternazioni spettacolari, fatte per alzare polveroni o, forse, per inviare messaggi criptici. E' di pochi giorni fa la revoca dell'incarico all'avvocato Paolo Di Furia per nominare come difensore Lucia Annibali, l'avvocatessa sfregiata con l'acido da due sicari albanesi assoldati dall'ex fidanzato.

Incarico rifiutato dalla Annibali per motivi di salute, ma anche perché esercita come civilista. Precedenti che impongono l'utilizzo del condizionale ad un pentimento che, se confermato, arricchirebbe di un nuovo volume l'enciclopedia di Gomorra.