La replica dei centri sociali, alla decisione della sindaca di torino Chiara Appenino, non si è fatta attendere. L’accusa da parte del principale gruppo che ha guidato l’occupazione nel 2013 è che il Comune si sia limitato a trovare i soldi per lo sgombero, ma che non abbia pensato al resto. Ma andiamo per gradi. Nella mattinata di mercoledì 30 novembre 2016 - dopo oltre tre anni di polemiche, provocazioni, minacce, violenze, rivolte e bombe carta -, la Appendino rompe gli indugi e comunica che è pronto il piano di #sgombero dei primi 250 extracomunitari, su un totale censito di quasi 800 e un totale reale di almeno 1.000 tra uomini e donne stipati in modo disumano tra alloggi ormai fatiscenti e semidistrutti e garage freddi e umidi dell'ex Moi.
Lo stesso piano di sgombero che l’ex sindaco Piero Fassino non era riuscito neppure ad avviare. Nei primi giorni di gennaio, quindi, si procederà. La situazione non è più procrastinabile. Non che prima lo fosse, se si considera che il 15 gennaio del 2015, Il Tribunale di #Torino, su richiesta della Procura, aveva disposto il sequestro preventivo delle palazzine di via Giordano Bruno, dove convivono almeno 25 etnie diverse, anche se la predominante è quella somala.
'Non c’è un vero piano'
Il centro sociale Gabrio, che da sempre si batte contro gli sgomberi e da sempre aiuta famiglie sfrattate (a prescindere dalla razza) a trovare dimora in qualche edificio abbandonato, in serata ha replicato: “Si annuncia che da inizio 2017 si procederà alla sgombero di una prima palazzina con la ricollocazione di centinaia di persone - sostiene il gruppo attraverso la pagina Facebook -, ma tutto sembra restare avvolto nell'ombra: che ne sarà di queste persone? Chi accederà ai progetti? Di quali progetti stiamo parlando e per quanto tempo?”.
Una certezza c’è: il piano lo finanzierà il Governo (se non cade prima) e la San Paolo. “L'occupazione dell'ex Moi era nata proprio dopo la cosiddetta “Emergenza Nord-Africa”, una tipica storia italiana fatta di promesse, inefficienze, organizzazione improvvisata e business”. Il Gabrio denuncia che: “Per oltre due anni le persone sono state trattate come pacchi parcheggiati in hotel, campi e così via, gestiti dal quel variegato mondo che è il privato sociale: cooperative, ong, centri diocesani e ancora altri. Progetti che non hanno mai avuto la logica e la progettualità di percorsi di accoglienza all’insegna del diritto e della tutela della dignità, ma semplicemente, come già abbiamo ribadito più volte, quella dell’emergenza”.
'Persone come pacchi'
Il 28 febbraio 2013 il Governo dichiara cessata l’emergenza, concede un permesso umanitario della durata di un anno e “invita” i rifugiati ad abbandonare le strutture con la ricompensa di 500 euro. I giorni successivi ci raccontano di rifugiati buttati fuori dalle strutture e abbandonati al proprio destino, senza nessuna soluzione abitativa o di lavoro. Per questo, il 30 marzo 2013 centinaia di persone si riprendono una casa occupando l'ex villaggio olimpico, nato male e abbandonato da anni, dopo i “fasti” delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006. Oggi si prova ad affrontare la questione nuovamente sotto i termini dell'emergenzialità, si ritorna a trattare le persone come pacchi da spostare.
L'obiettivo è sgomberare gli edifici, riportando la “pace” nel quartiere, per poi blindarli e far sì che non vengano occupati di nuovo. Infine, consegnarli al fondo speculativo città di Torino”. E’ un punto di vista. Quel che è certo è che dal 2013 ad oggi, in quel villaggio, è successo di tutto. Come è certo è che, dopo il primo sgombero di gennaio, resteranno ancora tre palazzine, garage compresi, piene zeppe di disperati. Come disperate sono anche quelle poche famiglie che, dalla fine del mese di settembre del 2006, avevano iniziato ad abitare alcuni dei 207 alloggi di quello che doveva divenire la parte residenziale di un buon quartiere.