Parlare di aborto non è mai una cosa semplice, soprattutto in un Paese in cui i medici obiettori superano di gran lunga i non-obiettori.
Non si entra nel merito dell'obiezione di coscienza: ognuno è libero di agire come meglio ritiene, secondo le possibilità e i paletti che il proprio lavoro impone. È anche vero però, che nessuna donna è obbligata ad abortire, così come non è obbligata ad avere un figlio. La scelta, in ogni caso, deve essere sua, non del servizio ospedaliero che un medico non-obiettore è comunque chiamato a fornire, quantomeno per una questione di buonsenso, e per evitare che vengano messe in atto barbare pratiche clandestine da donne disinformate.
Il caso di Facebook e la pagina Women on Web
La notizia che ha fatto molto discutere sul web negli ultimi giorni, è stata la decisione del colosso social Facebook di censurare "Women on Web", una pagina di sostegno per tutte quelle donne che si trovano a dover affrontare la decisione più difficile della loro vita. Una pagina pro-aborto che, però, non lo sponsorizza: si limita a fornire alle donne delle informazioni su pratiche di interruzione di Gravidanza sicure, e sulle loro conseguenze fisiche e psicologiche tratte dai protocolli della "World Health Organisation", oltre a contatti con dottori competenti. In alcuni casi è anche in grado di fornire il farmaco, come vedremo tra un istante.
Combattere l'aborto clandestino fornendo i medicinali necessari via web
Per giustificare la sua attività di censura, Facebook si è appellato alle proprie regolamentazioni, affermando che la pagina in questione non rispettava le linee guida della community, promuovendo l'uso di droghe (i medicinali), e talvolta anche fornendole.
Lo scopo di questa pagina è, infatti, quello di garantire non solo un sostegno, ma anche il medicinale a tutte quelle donne che vivono in Paesi in cui l'aborto non è permesso e, di conseguenza, viene attuato clandestinamente, portando il più delle volte alla morte sia del feto che della madre stessa.
Indubbiamente la spedizione di pillole tramite posta è una pratica discutibile, ma forse finora è l'unico modo per raggiungere le donne di alcune aree del mondo che non sono ancora aggiornate sul tema, e per evitare ad altre di esporsi ai rischi della clandestinità.
Con "Women on Web" già un precedente
Non è la prima volta che Facebook si trova in una situazione simile con la pagina in questione: nel gennaio 2012, aveva infatti rimosso una foto della Gomperts. L'immagine incriminata riportava il volto della dottoressa con le indicazioni per praticare un aborto sicuro con un farmaco reperibile in farmacia, il Misoprostolo. Nonostante l'azione del social network in questo caso sia comprensibile e giustificabile (solo un medico che abbia visitato la paziente può prescrivere una terapia abortiva, non la si può suggerire tramite internet come se fosse la ricetta delle lasagne della nonna), il sito si è comunque visto costretto a porgere le proprie scuse alla pagina e a riaprire l'account della dottoressa, precedentemente chiuso.
La stessa cosa è accaduta pochi giorni fa con "Women on Web", tornata online da poco. Una piccola, grande vittoria per la libera informazione e per il diritto di scelta (vogliamo chiamarlo "libero arbitrio?").
Si può essere contrari o meno ad una pratica come l'aborto, ma non al diritto di informarsi al riguardo. Chi si dovesse trovare ad affrontare una scelta come quella di interrompere la gravidanza, sappia che non è più sola: può rivolgersi al consultorio più vicino, al proprio ginecologo o medico di base, o ad un ospedale.