Il terrorismo si combatte anche su Twitter. Sembra strano eppure i dati lo dimostrano chiaramente. Sono infatti numerosi gli account Twitter legati ai sostenitori dello Stato Islamico utilizzati per diffondere notizie sulla propaganda jihadista e fare proselitismo, soprattutto tra i più giovani.
Twitter in prima linea nel contrasto alla Jihad...
A darne notizia ieri è lo stesso colosso social dell'uccellino blu il quale ha annunciato che nei primi sei mesi dell'anno è riuscito a rimuovere quasi 300 mila account legati al terrorismo, di cui la maggior parte, per la precisione tre quarti, prima ancora che riuscissero a pubblicare un solo 'tweet'.
A questi vanno aggiunti i quasi 377 mila account rimossi per gli stessi motivi nella seconda metà del 2016. Dall'agosto 2015 ad oggi, Twitter ha bloccato quasi un milione di account appartenenti alla sfera dello jihadismo islamico.
Un traguardo di tutto riguardo. Soprattutto se, come spiegano dal colosso web di San Francisco, la quasi totalità di queste rimozioni, pari al 95%, deriva da sforzi interni all'azienda e non da segnalazioni da parte dei governi.
Non solo. Il contrasto al terrorismo costituisce solo una minima parte delle segnalazioni delle autorità nel mondo, circa il 2%. Il rimanente 98% riguarda generici "comportamenti abusivi": dalle offese alle molestie, dall'uso di un linguaggio d'odio sino ai furti di identità.
Su questi invece, Twitter si è mostrata meno reattiva, accogliendo solo il 12% delle richieste.
...ma Italia-Francia-Inghilterra chiedono di più
L'annuncio del report arriva in una Europa sconvolta da sanguinosi attentati, mentre negli ultimi giorni si susseguono senza sosta arresti di terroristi o si scongiurano attentanti in procinto di essere portati a termine. Il tema è stato ripreso, non a caso, oggi a margine di uno dei più importanti fori di discussione internazionale, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
I promotori dell'iniziativa sono stati il presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Theresa May, i quali hanno chiesto ai rappresentanti di Google, Facebook, Microsoft e Twitter un maggiore impegno per lo scambio di informazioni 'sensibili' e la rimozione dei contenuti estremisti.
Da una parte i leader europei hanno chiesto una reattività maggiori alle richieste di intervento di governi.
Secondo la May le multinazionali del web dovrebbero intervenite nel giro di 1 o 2 ore per rimuovere messaggi propagandistici prima che si propaghino velocemente nella rete. Se ciò non dovesse succedere, addirittura si prospetta l'introduzione di sanzioni. Un obiettivo sicuramente ambizioso ma che presuppone anche un dispiego di risorse umane ed economiche non indifferente per far fronte alle diverse migliaia di segnalazioni che arrivano ogni anno ai social network. Forse troppe risorse.
Dall'altra parte, come sottolineato da Gentiloni, sono stati fatti grandissimi passi in avanti nel contrasto al terrorismo in rete.
A partire dalla creazione da parte di Facebook, Twitter, Microsoft e YouTube del 'Global Internet Forum to Counter Terrorism', un forum teso a stimolare la cooperazione i promotori e la società civile e il mondo accademico, approfondendo le politiche anti terrorismo e aumentando la consapevolezza globale per prevenire l'uso terroristico del web.
E' su internet quindi che sta combattendo più che mai la guerra al terrorismo. Una guerra nella quale tutti sono coinvolti e tutti sono chiamati a fare la propria parte. Non solo i gestori dei social network e i governi, ma anche la società civile e studiosi del settore. E la chiave di volta sembra essere la cooperazione e la condivisione delle informazioni.