Muore a quasi 92 anni il capomafia più anziano detenuto al carcere duro del 41-bis. Giuseppe Farinella, nato nel dicembre del 1925 a San Mauro Castelverde, un piccolo paese di circa 1.600 anime sull'omonimo monte, in provincia di Palermo. In vita si era distinto per la sua efferatezza e per essere stato uno dei più fidati collaboratori del capo dei Capi Totò Riina.

Il processo che lo condurrà dritto al 41-bis è uno dei più famosi della storia italiana e riguarda la strage di Via D'Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992 nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta.

Nello specifico il processo Borsellino III all'interno del quale furono processati anche i responsabili della strage di Capaci in cui perse la vita l'altro eroe antimafia Giovanni Falcone.

Iniziato nel lontano 1998, ci vorranno 10 anni prima che il processo giunga a condanna definitiva nel 2008 con sentenza di ergastolo sia per il boss Giuseppe Farinella che per gli altri stragisti Salvatore Montalto e Salvatore Buscemi, responsabili della morte dei due giudici. Nella stessa sentenza furono condannati all'ergastolo altri 10 mafiosi: per la strage di Capaci l’ergastolo è inflitto a Giuseppe Montalto, Francesco e Giuseppe Madonia, mentre per via d’Amelio a Carlo Greco, Pietro Aglieri, Benedetto Santapaola, Mariano Agate, Giuseppe Calò, Antonino Geraci e Benedetto Spera.

Di Farinella si era tornati a parlare recentemente. Nel luglio del 2017 aveva fatto ricorso in Cassazione per chiedere di essere tolto dal 41-bis, in ragione dell'età avanzata e dei vari problemi di salute. L'anziano boss, infatti, cinque mesi fa aveva contratto un ictus.

I magistrati scrivevano di lui: 'È portatore di un altissimo tasso di pericolosità sociale [...[ anche durante la detenzione ha continuato a comunicare con il sodalizio [...] si era dimostrato capace di mettervi a capo il figlio e poi il genero e di organizzare gravi delitti all'interno del carcere'.

Insomma, il ritratto di un capo mafia, ancora in grado di tenere le redini della propria famiglia, nonostante i limiti imposti dal regime carcerario del 41-bis.

Di diverso avviso la Suprema corte, la quale, secondo il principio di umanità della pena e del diritto a una morte dignitosa, aveva accettato il ricorso e chiesto alla Corte di appello di valutarne le condizioni di salute.

Una decisione simile a quella presa nei confronti di Totò Riina, tanto da suscitare indignazione nell'opinione pubblica e conquistarsi la prima pagina dei principali quotidiani nazionali.

Il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto trattare la richiesta tra 3 settimane. Peccato che l'anziano stragista non abbia fatto in tempo.