Il magistrato antimafia Nino Di Matteo è stato ascoltato, su sua espressa richiesta, in audizione ieri dalla Commissione parlamentare antimafia guidata dalla deputata Rosy Bindi. Quello che ha detto potrebbe essere fondamentale per approfondire la presunta trattativa tra Stato e Mafia.
Dell'audizione, in parte secretata e quindi accessibile solo a deputati e senatori della commissione stessa, si sanno solo alcune parti. Tra queste, quella che ha fatto più scalpore è la certezza investigativa, secondo Di Matteo, che a compiere le stragi mafiose, a partire da quella di Via D'Amelio dove persero la vita Il magistrato Paolo Borsellino e i 5 agenti della scorta, non ci sarebbero stati solo mafiosi ma anche soggetti "esterni":
"Nell'ultimo periodo anche grazie alle indagini sono emersi elementi di prova che indicano che la strage Di via d'Amelio non fu una strage solo di mafia.
La mia richiesta di essere ascoltato qui davanti a voi è motivata da un duplice scopo: fornire un contributo alla verità e stimolare approfondimenti necessari in sede politica sul probabile coinvolgimento nella strage di soggetti esterni a Cosa Nostra".
Insomma, trapela la paura che gli investigatori si arenino in un pantano di veti ed interessi incrociati. In particolare, che qualcuno possa dubitare delle basi dell'impianto processuale finora consolidato, che ha portato a 23 ergastoli, per far cadere poi definitivamente tutto il processo.
Ma non solo. Di Matteo torna sulla figura di Vincenzo Scarantino, il pentito che mi prima si autoaccusò dell'attentato di Via D'Amelio, e per questo condannato 18 anni di carcere, e poi si pentì, negando ogni coinvolgimento ed accusando poliziotti e magistrati di averlo costretto a fare certe dichiarazioni.
Una tesi supportata anche dalle più recenti confessioni del boss Giuseppe Spatuzza, il quale ha ammesso di aver partecipato all'attentato e confermato l'estraneità di Scarantino. Per Di Matteo, anziché screditare l'attività investigativa da lui fatta sinora, bisognerebbe concentrarsi su chi ha depistato le indagini subito dopo Via D'Amelio.
"Se qualcuno ha depistato in via d'Amelio, andatelo a cercare in chi ha condotto le indagini che hanno portato all'arresto di Scarantino. Bisogna capire chi condusse o chi svolse quelle indagini che condussero poi al depistaggio". Il Pm va oltre: "Lascia ipotizzare che alcune informazioni vere erano arrivate a chi, per sfruttarle, ha fatto una cosa gravissima, mettendo in bocca a un soggetto che non sapeva nulla, informazioni che, chi aveva ricevuto, riteneva attendibili".
Il destinatario di queste invettive potrebbero essere dunque quei soggetti istituzionali, in particolare magistrati e forze dell'ordine, che per primi si occuparono del primo processo Borsellino, quello che condannò Scarantino, e quei magistrati che successivamente, si occuparono delle rivelazioni di quest'ultimo.
Non poteva mancare un passaggio su Berlusconi, sul quale da ormai diversi anni aleggiano dubbi e accuse sui suoi rapporti con Cosa Nostra. Di Matteo nel corso dell'audizione si soffermato sulle dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi, secondo il quale il Capo dei Capi si sarebbe assunto la responsabilità di uccidere Paolo Borsellino e parlò di Berlusconi e Dell'Utri "come soggetti da appoggiare ora e in futuro, e rassicuro' che fare quella strage sarebbe stato un bene per tutta Cosa Nostra".
Il magistrato durante l'audizione ha anche espresso i propri dubbi su un'operazione in atto per screditare il suo operato. Di Matteo, infatti, è stato nominato recentemente nel marzo di quest'anno, senza non poche polemiche, alla DNA, la Direzione Nazionale Antimafia. Al momento della nomina non mancarono le frecciate del magistrato contro chi aveva impedito sino ad allora al magistrato che si era occupato di un'indagine così scomoda come quella sulla trattativa di aspirare a questo ruolo di rilievo.
In quell'occasione Di Matteo disse chiaramente: "Sulla mia nomina alla Direzione nazionale antimafia in questi anni ci sono stati i veti di alti esponenti istituzionali. A prescindere dal valore professionale altissimo dei colleghi che mi sono stati preferiti in altre circostanze resto convinto che in passato ci sia stato qualche veto e qualche pregiudizio, anche da qualche alto esponente istituzionale che ha pressato perché la mia domanda non fosse accolta".
Sono passati circa 25 anni dalla strage di Via d'Amelio. Eppure nonostante questo continuano le accuse incrociate all'interno della magistratura, con il risultato che la ricerca della verità, almeno quella processuale, si sta allontanando sempre di più.