Emessa la sentenza a 9 anni di reclusione per il pirata della strada che lo scorso anno, nella notte tra il 16 e il 17 giugno a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo, travolse uccidendolo, il giovane carabiniere Emanuele Anzini nonostante questi gli avesse intimato di fermarsi al posto di blocco.
L'automobilista, ora accusato di omicidio stradale, è un cuoco 35enne che, in quella tragica notte, guidava in stato di ebbrezza e, probabilmente per tale ragione, non si è fermato al posto di blocco opponendo, di fatto, resistenza ad un pubblico ufficiale.
Tra qualche giorno, il carabiniere, avrebbe compiuto 42 anni.
L'automobilista che uccise il carabiniere Emanuele Anzini
Matteo Colombi Manzi, questo il nome dell'automobilista che, al momento dell'incidente, registrava un tasso alcolemico altissimo, superiore addirittura di ben 6 volte rispetto al limite consentito per legge (2,97 grammi per litro rispetto allo 0,5 consentito).
La condanna a 9 anni comprende due reati distinti: quello di omicidio stradale (8 anni) e quello di opposta resistenza a pubblico ufficiale (1 anno).
Ad aggravare la posizione del cuoco sarebbe il fatto che, in passato, si fosse già messo alla guida dopo aver bevuto alcool con conseguente ritiro della patente, ma pare anche che lo stesso abbia trascorso alcuni mesi in carcere per un reato per il quale venne giudicato e assolto con rito abbreviato.
Il grido della famiglia Anzini e la lettera scritta dalla figlia Sara
La sorella del carabiniere, Catia Anzini, si è costituita parte civile insieme alle associazioni italiane dei Familiari delle Vittime della Strada e dei Sostenitori e Amici della Polizia Stradale.
Fortissime, invece, le parole scritte in una lettera redatta dalla figlia di Emanuele Anzini, Sara, di soli 19 anni, che, rivolgendosi alle istituzioni, ma anche a colui il quale ha ucciso il padre, ha detto: "Chi mi ha distrutto la vita, deve ricevere una pena esemplare. Abbiamo vissuto per tanto tempo separati per diversi motivi e, ora che avevo più bisogno di averlo accanto, non potrò più farlo. Questo mi fa tanto male e mi distrugge cuore e anima".
Un appello forte e chiaro quello della giovanissima Sara che, attraverso questa terribile esperienza, si appella alle istituzioni chiedendo che, chi guida ubriaco, deve essere condannato in maniera esemplare: "Mio padre non deve morire una seconda volta. Chi non rispetta la vita altrui, non può avere una pena breve e mi auguro che questo grido di dolore arrivi dove deve e si faccia giustizia per me, tutta la mia famiglia, gli amici e i colleghi, ma soprattutto per il mio povero papà".
Un fenomeno da arginare
Ancora una volta si torna a parlare di omicidio stradale che coinvolge, oggi, un rappresentante delle Forze dell'Ordine, ma che, ogni giorno, miete vittime innocenti sull'asfalto a causa di chi non rispetta né le regole civili né la vita umana e che oggi, attraverso le parole di Sara, tracciano un segno incisivo della gravità del fenomeno.
Nonostante le recenti misure restrittive entrate in vigore negli ultimi anni, maggiormente rigide rispetto al passato, il numero di vittime stradali è ancora troppo alto per cause che, appunto, non riguardano vuoti o carenze normative, ma sono esclusivamente attribuibili ad una scarsa responsabilità etica da parte del cittadino.
Responsabilità che dovrebbero far riflettere sia chi si mette al volante in condizioni non idonee, sia chi non presta attenzione a ciò che lo circonda: regole fondamentali che potrebbero ridurre drasticamente il numero di morti sulla strada.