Un rompicapo di difficile soluzione. Proseguono le indagini per individuare gli autori delle tre buste incendiarie che, nelle giornate di domenica e lunedì, hanno ferito in modo non grave tre donne a Roma. Si vuole capire la reale natura di questi atti dimostrativi, con ogni probabilità compiuti dalla stessa mano. Infatti i tre plichi erano praticamente identici: tre buste commerciali gialle, di formato A4, contenenti delle scatolette di legno, con dentro un semplice congegno esplosivo, che è entrato in azione una volta che queste ultime sono state aperte.

Si trattava di un semplice meccanismo – formato da un filo elettrico, della polvere pirica e della carta stagnola per l’innesco – ideato non per uccidere, ma per creare danni alle destinatarie. Ed è proprio su queste tre donne, che apparentemente non hanno niente in comune né si conoscono tra loro, che gli inquirenti stanno indagando, senza tralasciare nessuna pista.

Potrebbero essere in circolazione altre buste esplosive

Si teme che altri pacchi simili possano essere ancora in circolazione: così è partita la richiesta a Poste Italiane di attivare i massimi controlli. Nelle scorse ore, durante un vertice in procura, il procuratore aggiunto Francesco Caporale e il pm Francesco Dall’Olio, che ipotizzano il reato di lesioni e attentato con finalità di terrorismo, hanno fatto il punto della situazione.

Al gesto dimostrativo non è seguita nessuna rivendicazione; inoltre è singolare il profilo delle tre donne scelte come obiettivo, tutte dipendenti di istituzioni pubbliche, ma prive di ruoli di rilievo e senza nessun legame tra loro. Sulle tre buste, con identica scrittura, era indicato come mittente qualcuno di noto alle vittime. Il pool Antiterrorismo della procura di Roma che segue il caso ha deciso di non scartare nessuna ipotesi: si è pensato ad un folle isolato, o all’azione di uno spietato “Una Bomber”, che potrebbe aver maturato per qualche oscura ragione del forte risentimento nei confronti delle vittime. Ma, al momento, nonostante le tante stranezze, la pista più plausibile resta quella di matrice anarchica.

Due destinatarie delle buste incendiarie lavoravano in università

Negli ultimi anni la galassia anarchica si è spesso distinta per l’invio dei pacchi bomba ai suoi obiettivi: si pensa che, almeno in un paio di casi, questi attentati in serie siano stati ideati per protestare contro alcuni accordi tra strutture universitarie e il ministero della Difesa – in particolare l’Aeronautica militare – o la Nato. Infatti due delle destinatarie delle buste incendiarie hanno svolto la propria attività in ambito accademico. La prima donna è scampata al gesto dimostrativo perché il plico che le avevano spedito è esploso, ferendo un’impiegata, nel centro di smistamento postale di Fiumicino, prima che le fosse recapitato.

Si tratta di una ex dipendente dall’ateneo di Tor Vergata, attualmente in pensione, in passato responsabile di alcuni uffici amministrativi. Tra gli ultimi suoi incarichi, quello relativo ad un accordo siglato nell’ottobre scorso dall’università con l’Aeronautica Militare. Invece la seconda destinataria, ferita dalla busta esplosiva, è docente di Biochimica all’Università Cattolica del Sacro cuore: nel dicembre 2017 ha firmato un’intesa di cooperazione con una struttura della Nato, il Corpo d’armata di reazione rapida in Italia (Nrdc-Ita).

Le buste esplosive inviate in casa

Molto più difficile trovare un collegamento con la donna presso la cui abitazione è arrivata la terza busta, esplosa lunedì verso le 18.30: si tratta di una dipendente dell’Inail di 54 anni.

Anche in questo caso gli investigatori dell’Antiterrorismo sono andati alla ricerca di un motivo per il quale gli anarchici avrebbero scelto la signora come obiettivo, ma non si è nemmeno scartata l’ipotesi di una vendetta personale per il mancato riconoscimento di un’invalidità o per la perdita di un posto di lavoro. Infine si pensa che la scelta dell’invio dei plichi agli indirizzi di casa sia dovuta alla volontà di eludere i maggiori controlli presenti negli uffici pubblici. Quindi, per non destare sospetti, gli attentatori avrebbero selezionato dei finti mittenti conosciuti dalle vittime: rispettivamente, nei tre casi, l’università di Tor Vergata, un collega d’ateneo ed un’amica.