L'ultimo sfogo di Antonio Ciontoli prima di entrare in carcere, è stato mandato in onda ieri, 7 maggio, nel corso della trasmissione Quarto Grado. L'ex sottoufficiale della Marina Militare distaccato ai servizi segreti, si è scagliato proprio contro i giornalisti del programma.

Da lunedì 3 maggio è detenuto, come tutti i suoi familiari, per l'omicidio del fidanzato della figlia Martina, Marco Vannini.

Il delitto avvenne nella villa familiare di Ladispoli, alle porte di Roma, la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015. Il capofamiglia è stato condannato a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. A nove anni e quattro mesi, sono stati condannati per concorso i figli Federico e Martina, e la moglie Maria Pezzillo. La Cassazione ha rigettato i ricorsi dei difensori dei Ciontoli. La sentenza definitiva ha confermato il verdetto di Appello bis e ha reso la pena immediatamente esecutiva.

Ciontoli: 'Siete stati artefici di questa condanna'

Nelle sue ultime ore di libertà, Antonio Ciontoli ha attaccato la stampa.

Il giorno della sentenza della Cassazione, il capofamiglia non era presente a Palazzo di Giustizia. La giornalista Anna Boiardi che ha seguito il caso dall'inizio, lo ha chiamato chiedendogli un commento. Ciontoli ha accusato i cronisti di Quarto Grado di aver manipolato le intercettazioni ambientali. "Il giudizio è stato formulato da una corte manipolata dai giornalisti?", gli ha chiesto, allora, Anna Boiardi. "Voi siete stati artefici di questa condanna - la risposta - faccia sentire le mie parole, per questo combatterò per sempre, fino al mio ultimo respiro. Voi avete contribuito a far condannare due ragazzi innocenti e mia moglie che è innocente", per poi chiudere la telefonata invitando i giornalisti a stare vicini ai genitori di Marco: "Se lo meritano".

Da studio, Gianluigi Nuzzi ha sottolineato che i giudici decidono in base agli atti del processo e non ai programmi tv. "La responsabilità in quella casa ce l'hanno tutti quanti, perché c'erano loro, non c'eravamo noi, né c'erano politici", ha aggiunto Marina Conte, mamma di Marco, presente in studio con il marito Valerio.

Da lunedì, padre e figlio sono nel carcere di Regina Coeli, in due celle separate. Martina e la madre a Rebibbia. In studio è stato sottolineato che, ad oggi, non si sa perché Marco sia stato lasciato morire e come si siano svolti i fatti. "La verità non la sapremo mai. L'unica che la poteva dire era Marco. Quella che hanno detto loro è processuale, non storica", ha detto Valerio.

Sulle lettere aperte scritte a fine partita da Antonio, Federico e Martina, i genitori hanno detto che hanno avuto sei anni di tempo per farlo. A loro, sarebbe bastato, al di là delle formalità, anche un biglietto messo nella cassetta postale. Nella sentenza di corte d'Appello bis, si dice che gli imputati hanno privato sia la corte che i genitori di conoscere la verità. Su Instagram, infine, Nuzzi ha precisato che la trasmissione ha chiesto ai Ciontoli per tanti anni un’intervista, sempre negata. L'avrebbero voluta concedere a ridosso della sentenza di Cassazione: "Ci sembrava un gesto poco elegante e forse interessato". A proposito delle accuse, infine: "Si può facilmente verificare che sono false".

Ciontoli: 'Marco non chiese mai aiuto'

Nei giorni prima della sentenza, Antonio Ciontoli sembra abbia voluto fare i conti con i giornalisti ritenuti responsabili di una presunta persecuzione. Ha telefonato lui stesso al cronista del settimanale Giallo, Gian Pietro Fiore, per raccontare la sua verità: "Marco non chiese mai aiuto, Questa è una falsità. Voi avete scritto falsità", ha sostenuto. Eppure, le registrazioni delle chiamate al 118 mandate in onda centinaia di volte in questi anni da più trasmissioni televisive, dimostrerebbero il contrario: in una, si sentono le urla di Marco agonizzante. "La vita della mia famiglia è stata distrutta dalla persecuzione dei giornalisti", ha lamentato Ciontoli accusando Fiore di essere un bugiardo e di portarlo un giorno davanti a un giudice.

L'avvocato: 'Sentenza eccessivamente punitiva'

Pietro Messina, avvocato del collegio difensivo della famiglia Ciontoli, ha parlato di una sentenza dura, eccessivamente punitiva, soprattutto nei confronti dei figli, Federico e Martina, e della moglie, Maria Pezzillo, "una signora che non ha mai calcato i pavimenti dei tribunali". Ha riferito che la loro reazione è stata di sconforto, e soprattutto di rabbia.

"Spero che reggano l'urto della carcerazione", ha detto Messina annunciando che il team difensivo tenterà di presentare il caso alla Corte europea. Il legale riferendosi alla sentenza ultima della Corte d'Appello in cui si dice che il capofamiglia che avrebbe soggiogato tutti gli altri, ha concluso che la pena verso moglie e figli sarebbe dovuta essere molto più lieve.