Lo scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez è morto ieri, all'età di 87 anni nella sua casa di Città del Messico.

Autore di "Cent'anni di solitudine", da molti considerato il capolavoro della letteratura del ventesimo secolo, insignito del premio Nobel nel 1982, era da tempo malato.

La sua ultima apparizione pubblica risaliva al 6 marzo scorso, giorno del suo compleanno, subito dopo era giunta la notizia del suo ricovero in un ospedale della capitale messicana, ufficialmente per una polmonite, molto probabilmente per qualcosa di più grave.

Nei giorni scorsi si era affacciato dalla sua casa, dove era in convalescenza dopo essere stato dimesso, per rassicurare il gruppo di giornalisti e semplici lettori che stazionavano davanti alla porta, in attesa di notizie sul suo stato di salute..

Il difficile inizio e il successo

Dopo gli inizi da giornalista e aspirante regista (frequentò anche Centro Sperimentale di Roma), si dedicò alla scrittura con scarse fortune, fino alla pubblicazione, nel 1967, di "Cent'anni di solitudine"; un romanzo costato quindici anni di lavoro nel quale credeva moltissimo, tanto da indurlo a chiudersi in casa e vendere tutto per mantenersi, pur di portarlo a termine.

E' la storia di un paese immaginario, Macondo, raccontata attraverso le vicende centenarie della famiglia Buendia, il cui patriarca, Aureliano, era il fondatore.

Una storia fatta di intrighi e magie, passioni e tradimenti, rivoluzioni e repressioni; una fantastica e iperbolica allegoria della storia dei popoli latinoamericani.

Chiunque voglia studiare la storia di quei paesi, non può non integrare la lettura dei testi storici con il capolavoro di Garcia Marquez, dove ne ritrova lo spirito multietnico, frutto dell'intreccio di indios, europei ed africani, che ha forgiato la cultura dell'America Latina.

L'impegno politico

L'immediato successo del romanzo ne decreterà la fama mondiale, fino al premio Nobel del 1982. Seguirono altri successi, come "L'amore ai tempi del colera" e "Cronaca di una morte annunciata" e, spinto dall'amore verso la sua terra, l'impegno politico.

La sua amicizia con personaggi discussi come Fidel Castro e Chavez, gli costò la critica del mondo accademico e politico, compensata dalla vera e propria adorazione nutrita dal popolo sudamericano nei suoi confronti.

Per loro era semplicemente Gabo, l'amico di cui fidarsi.

La sua opposizione al regime fascista di Pinochet in Cile, lo spinse a ritornare al giornalismo, realizzando memorabili reportage di denuncia che contribuirono a far conoscere al mondo cosa stesse accadendo in quel paese.

La sua scomparsa è stata accolta con commozione in tutto il modo; in Colombia, il suo paese, sono stati decretati tre giorni di lutto nazionale.

"Essere famosi", diceva, "è come festeggiare gli anni tutti i giorni".

Ora i suoi compleanni si sono fermati, ma non si fermerà il desiderio di festeggiarli da parte di chi ha amato e amerà Macondo; la loro solitudine comincia oggi, e sarà alleggerita dalle sue pagine per cento e cento anni ancora. Ciao Gabo.