Nella prima parte della pellicola vediamo una minuziosa presentazione della stanza (il regista lo fa attraverso il bambino, che ad ogni alba, scendendo dal letto, saluta quasi fossero famigliari tutti i mobili della camera), che per il giovane protagonista rappresenta tutto il suo mondo; inoltre nell'immaginario del bambino esiste un "cosmo" astratto, nel quale probabilmente la "Stanza" fluttua. Si ritrova a condividerla fin dalla nascita con la madre (convincente Brie Larson vincitrice dell'Oscar per la miglior attrice), la quale gli racconta che tutto ciò che vede in televisione non è reale, ogni cosa compare per magia, così come i vestiti e il cibo che vengono portati loro regolarmente da "Old Nick", la persona che anni prima ha rapito la ragazza sfruttando la sua ingenuità.

Un giorno, grazie ad un piano ben congegnato, riescono a liberarsi da quel carcere, ma la storia ovviamente non finisce qui; il vero fulcro del racconto sono in realtà le conseguenze che questo evento ha avuto sul bambino, ma soprattutto sulla madre, che non è in grado di tollerare tutti i cambiamenti avvenuti nell'arco di tempo in cui è stata rinchiusa. A ciò si contrappone la meravigliosa visione del nuovo mondo agli occhi del bambino, il quale non ha mai visto altro prima, eccetto una stanza con quattro pareti e nessuna finestra, se non un lucernario. Un film che commuove e riporta il pubblico a vedere il mondo con gli occhi di un bambino.

Un legame indistruttibile

In troppi film vediamo ribadito quanto un legame madre-figlio sia davvero qualcosa di speciale e, il più delle volte, indistruttibile. Tuttavia, in questo caso ci troviamo di fronte ad una prova veramente efficace, nella quale si tocca il punto più a fondo di tale rapporto. Una madre che inventa una storia fantastica per convincere il figlio a vivere al meglio in quella prigione; lo convince del fatto che solo loro due e "Old Nick" sono reali. Vede che in questo modo lui può vivere felicemente anche solo con la propria madre; tuttavia vedendolo crescere si rende conto di quanto quella vita non sia giusta, capisce che si tratta di una scelta quasi egoista non provare ad evadere.

Così decide di dirgli la verità e di portarlo al di fuori di quelle quattro mura per affrontare il nemico più grande: la realtà. Una volta fuggiti, il bambino si trova davanti a uomini e donne in divisa, in camice, e continua a vedere e sentire quelle persone distanti, come se le osservasse e le percepisse ancora attraverso uno schermo come quando era in "Stanza". Inoltre, madre-figlio devono affrontare diverse situazioni spiacevoli. I genitori di Ma si sono separati dopo che lei era stata rapita, il nonno del bambino si rifiuta di posare i propri occhi su di lui, i sensi di colpa di Ma (nati dalle incalzanti domande della intervistatrice, che la interroga sul perché non avesse deciso di far portare il bambino fuori dalla stanza quando ancora era piccolo, piuttosto che farlo crescere con sé lì dentro) che l'hanno portata a tentare il suicidio, e tanto altro.

La realtà si rivela un posto molto più insidioso rispetto a quella piccola squallida dimora. Entrambi impiegano parecchio tempo ad abituarsi e riabituarsi alla sua crudeltà, e quando, superando ogni ostacolo, la coppia di protagonisti riesce a trovare un equilibrio, il piccolo Jacob Trembley nei panni del figlio si rivolge a Ma e le chiede di poter tornare un'ultima volta in "Stanza", quasi ricordandola con nostalgia, per avere una sorta di commiato. Un coinvolgimento totale per lo spettatore, che non può fare a meno di provare una forte empatia. Sceneggiatura rimaneggiata dall'autrice del libro Emma Donoghue, la quale si ispirò al caso Fritzi per realizzare il suo capolavoro, e che le ha portato anche una candidatura importante ai Golden Globe, facendola concorrere per la prima volta con quella più accattivante e tagliente di "The Hateful Eight" o quella precisa e provocatoria vincitrice dell'Oscar de "Il caso Spotlight".