Pablo Larraín ha a malapena quarant'anni, ma è già un venerato maestro della settima arte. Nato a Santiago del Cile nell'agosto del '76 da genitori politici di professione (il padre senatore, la madre ex ministro), appartenenti allo schieramento conservatore, lo sguardo più significativo del Cinema sudamericano contemporaneo ha dedicato quasi esclusivamente la sua fino ad ora molto applaudita carriera a tradurre in ricerca estetica alcuni momenti-chiave del passato recente del suo paese.

Se Manzoni sosteneva che compito dello storico fosse quello di indagare il 'vero' documentato di chi la storia la fa, mentre quello del poeta il 'vero' intimo di chi la storia la subisce, il compito del regista, secondo Larraín, è, allora, evidentemente, quello di operare una sintesi tra queste due verità, quella documentata e quella interiore, per estirpare il cliché dalla storia patinata e preconfezionata del consumismo manualistico o delle facili quadrature e sganciare la cronaca dall'effimero politico per proiettarla in un orizzonte insieme intimo e universale, cristallizzato nelle sue valenze filosofiche e nei suoi accenti più teneri.

'Neruda', ennesimo capolavoro di Larraín 

Dopo 'Tony Manero', storia di un caso di follia individuale nel quadro più ampio della follia collettiva della dittatura, 'Post mortem' e 'No', dedicati rispettivamente al golpe di Pinochet del 1973 e al plebiscito popolare del 1988, ed in seguito alla curvatura più dolente della sua cinematografia ('El club', cronaca dell'esilio di cinque religiosi condannati ad un'impossibile espiazione per aver abusato di alcuni bambini) e al recente biopic-non biopic 'Jackie, Larraín torna al cinema (da giovedì 13 ottobre) con 'Neruda', ulteriore prova del suo talento deciso e nuovo tassello della sua storiografia drammatica in immagini, con al centro la vicenda del sommo poeta cileno che, nel 1948, viene perseguitato dall'ispettore Pelochonneau (un grandissimo Gael García Bernal) per ordine del presidente González Videla che intende punirlo, umiliarlo e ostracizzarlo per la sua militanza comunista.

Pablo Neruda rivive sullo schermo come carne da allegoria, simbolo della resistenza appassionata e rabbiosa all'oppressione e una concezione dilatata, trascendente, di fascismo: nel cinema di Larraín, lo spunto biografico è solo un refolo d'aria tra le pedine di una partita a scacchi tra massimi sistemi, poli opposti del pensiero e della morale, il male e il bene, la prevaricazione e il rispetto, il baratro ideologico e il sogno di un'umanità trionfante nel proprio disinteresse al potere. Film dialettico, ma anche corale e folk, 'Neruda' è un capolavoro nel restituire a un intero popolo, attraverso il suo poeta più grande, la verità di una ribellione condivisa, di un ossequio instancabile alla libertà.