“Volevamo trovare una strada italiana al rock. Così in quel pezzo decidemmo di usare i mandolini elettrici invece della chitarra e il violino. Il tutto unito a tanta energia e spontaneità, che era la caratteristica di quegli anni”. Così Eugenio Finardi ha raccontato la nascita di Musica ribelle, un brano che è diventato il manifesto di un’epoca, in occasione della presentazione del cofanetto speciale 40 anni di musica ribelle, che contiene i suoi primi cinque dischi usciti per l’etichetta Cramps, ora rimasterizzati.

“Eravamo tutti giovanissimi – prosegue – Luca Bardo, che suonava il mandolino elettrico, credo avesse solo 16 anni.

Ma noi non ci rendevamo conto di quello che stavamo facendo. Solo dopo capimmo che avevamo aperta la strada al rock made in Italy. Sì, esistevano già i gruppi progressive come Pfm e Banco, ma noi ci ispiravamo a un rock più vicino a Rolling Stones, Led Zeppelin, The Who”.

E a proposito di Pfm, Finardi rivela un retroscena poco conosciuto: “La Pfm voleva sfondare negli Stati Uniti ed era alla ricerca di un cantante che sapesse bene l’inglese. Io sono mezzo americano e facevo al caso loro. Mi chiesero di entrare nel gruppo, ma non se ne fece niente. Andò così, anche se Franz Di Cioccio dice di non ricordarsi l’episodio. Se lo ricorda bene invece Bernardo Lanzetti, che poi diventò il cantante della Pfm in quegli anni”.

Com'era il rapporto tra i musicisti italiani dell’epoca? “C’era un’atmosfera che oggi purtroppo è sparita – risponde – Ci si vedeva, si collaborava, c’era un clima molto spontaneo di condivisione. Era come se facessimo tutti parte di una stessa comunità. Oggi, invece, anche tra gli artisti c’è maggiore tendenza a chiudersi.

Anche per parlare con un collega capita di dover passare tramite altre persone. Non so come mai tutto sia cambiato in questo modo”.

Ma a cambiare è stata anche la società, molto diversa da allora. “Allora avevamo grandi speranze, credevamo che il mondo sarebbe migliorato – ha spiegato Finardi – Il futuro sembrava qualcosa di infinito e capace di portare più giustizia e libertà.

Oggi, invece, i sogni sono stati sostituiti dalle paure, il futuro sembra minaccioso. L’elezione di Trump è sintomatica: ha vinto la paura, la chiusura. Mi dispiace per le nuove generazioni, forse è colpa anche della mia che alla fine ha fallito il suo obiettivo di lasciare un mondo migliore. Noi siamo stati fortunati a vivere in quel clima di cambiamenti positivi, di fiducia verso il futuro. Per i giovani di oggi purtroppo è tutto diverso”.