Nella raffinata ed accogliente Sala Grande del Circolo dei lettori di Torino, all'interno di Palazzo Graneri, si è svolta ieri pomeriggio l'unica tappa italiana di presentazione ai lettori del suo ultimo Libro, "la caduta dei Golden" di Salman Rushdie, scrittore e saggista indiano, naturalizzato britannico e che ormai vive a New York da oltre 20 anni. L'appuntamento rientrava nell'ambito di "Giorni Selvaggi" incontri con gli autori internazionali e non.

L'autore

Nel corso dell'intervista Rushdie ha più volte citato la sua nascita indiana. La prima volta quando, ricordando il suo trasferimento a New York, considerava la sua innata condizione di migrante, prima dall'India in Inghilterra e, dopo, negli USA. La seconda, verso la fine della serata, quando l'autore, conversando con Veronesi, ricordava che Bombay (dove lui è nato) viene considerata la culla del cinema indiano e, quando era bambino, tutti aspettavano l'uscita del principale quotidiano della città, con poche dedicate alle notizie dall'India e da tutto il mondo e le restanti, quelli che tutti leggevano, a notizie sul cinema.

Ha frequentato il King's College di Cambridge e, seppur nato in una famiglia di fede islamica, si professa ateo.

L'incontro

Sandro Veronesi ha condotto l'incontro con brillantezza e competenza, nonostante fossero ancora in parte percepibili i postumi di un malanno di stagione. Ha subito precisato che avrebbe evitato con cura ogni riferimento diretto a "La caduta dei Golden", sia per evitare accuse di involontari spoiler, sia perché ritiene che il libro sia percepibile nella sua completezza solo leggendolo. Ha accompagnato l'autore ad illustrare i suoi legami con la letteratura russa, la sua esperienza americana ed alcune fra le caratteristiche principali del protagonista. Il libro si svolge nel periodo che intercorre fra l'elezione alla carica di presidente USA di Barack Obama e Donald Trump, ed inizia e termina nelle lacrime: di gioia le prime e colme di tristezza le ultime.

Anche se la critica considera il suo libro più riuscito "I figli della mezzanotte", quello che del resto gli valse la notorietà mondiale, il più noto al grande pubblico è senza dubbio "I versi satanici". Il romanzo venne ritenuto blasfemo dall'Islam, l'Imam iraniano Khomeini lanciò una fatwa nel febbraio del 1989, Rushdie si rifugiò in Inghilterra, dove visse sotto protezione. Sandro Veronesi ha riservato per la chiusura dell'incontro una domanda su questo delicatissimo tema: qual'era il rapporto fra l'accaduto e la sua scrittura? Lo scrittore ha riflettuto a lungo sulla vicenda. La storia è piena di scrittori che hanno dovuto pagare un prezzo, spesso salato, per essere rimasti fedeli al loro lavoro, anche nonostante pareri contrari.

Un romanzo sviscera le contraddizioni e, quando queste vengono alla luce, suscitano scontento e rabbia. "La situazione che mi è accaduta la considero quasi un complimento: peggio sarebbe stato se Khomeini avesse amato il mio libro".