Che cosa faceva precipitare nel baratro della più cupa paura gli italiani di qualche decennio fa? Ce lo racconta nel suo documentario Boia, Maschere e Segreti: l'Horror Italiano degli Anni Sessanta il critico cinematografico e conduttore della trasmissione di Rairadio3 Hollywood Party, Steve della Casa, che ha presentato il film il 5 settembre nella sezione "Venezia Classici" della 76^ Mostra del Cinema.
Si tratta di un lavoro sapiente ed accurato di ricerca delle immagini più rappresentative di un genere radicato in quegli anni non solo in Italia ma anche all'estero. Un particolare legame si era creato con il Cinema francese ed i critici e registi d'oltralpe Jean Francois Rauger, Frederic Bonnaud, Jean Jili, Bertrand Tavernier, appaiono nel documentario insieme ai maestri italiani Dario Argento, Pupi Avati e Carlo Cotti. Il loro intervento ispessisce l'affabulazione sull'horror italiano, spiega la società ed il modo di fare cinema in un'epoca in cui mancava la digitalizzazione e gli effetti speciali si ottenevano con l'utilizzo delle luci e con una capacità strategica di costruire la scena, fra tele di ragno, mostri e teste mozzate, ricorrendo ad un alto artigianato: il risultato agghiacciante era garantito.
La figura femminile nel genere horror
Non lo si sarebbe sospettato, forse, ma il film horror italiano degli Anni Sessanta era intriso di una notevole sensualità con i primi piani su donne discinte oppure eteree e velate nel correre fra i boschi di notte. L'erotismo noir ha rappresentato una caratteristica costante e la regina incontrastata dell'epoca era Barbara Steele che dominava lo schermo con il suo viso angoloso acceso da due grandissimi occhi, apprezzata anche da Dario Argento. La donna era tipizzata come strega malvagia o come vittima in una visione innegabilmente maschilista, come ha ricordato Caterina Taricano che ha collaborato alla regia, ma il tema della "donna in pericolo" suggestionava moltissimo gli italiani di allora.
Spesso i film prevedevano due finali, uno più castigato all'italiana, ed un'altro più disinibito "alla francese" destinato all'estero, una soluzione adottata anche da Marco Ferreri in "La Donna Scimmia" del 1964 con Ugo Tognazzi e Annie Girardot, o per le fotografie di Sophia Loren.
Ad ogni modo l'horror italiano conservava un sapore di commedia, di ironia, comicità, tanto che uno dei più noti registi di questo indirizzo, Camillo Mastrocinque, era il regista di Totò. Gli autori che hanno reso grande il cinema horror italiano all'estero sono Mario Bava e Riccardo Freda, il cui talento è stato ampiamente riconosciuto dalla critica francese, in grado di nutrire la voracità emozionale del pubblico con pochi mezzi.
L'esiguità delle risorse finanziarie e la nota distintiva italica dell' "arte di arrangiarsi" segnavano il leit motiv della realizzazione di un horror italiano (d'altra parte anche per la Hammer britannica) e l'ambientazione gotica si ricostruiva in castelli laziali mentre le foreste teutoniche avevano i pini marittimi.
"L'esito della nostra opera - ha osservato Steve Della Casa nella Sala Volpi del Lido di Venezia - si deve al sostegno di Compass Film, al montaggio di Graziano Falzone e alla cospicua attività di ricerca svolta con un intento non esclusivamente cinefilo ma anche sociologico per descrivere un clima ed un cinema che oggi non c'è più".