In meno di due anni il Consiglio d'Europa ha condannato l'Italia ben due volte perché non rispetta le leggi sull'aborto. Pochi giorni fa la questione dell'aborto è tornata a far sentire il suo peso, poiché il Consiglio, accogliendo un ricorso della CGIL, ha condannato nuovamente l'Italia. La questione? La discriminazione dei medici non obiettori che lavorano da "esiliati" in quanto vengono criticati dai propri colleghi, spesso si ritrovano da soli in sala operatoria e addirittura devono "autoassistersi" . Proprio così. Risale a pochi giorni fa il caso di un'infermiera inCampania che si è rifiutata di sterilizzare i ferri, invocando l'obiezione di coscienza.

Ma è veramente grave la disapplicazione della legge 194 sull'aborto?

In cinque regioni italiane, su 133 ginecologi, soltanto 21 sono disponibili a praticare l'aborto. Nel Lazio, il 91% dei ginecologi sono obiettori, in Sicilia l'80% e a Napoli è rimasta soltanto una struttura ospedaliera che pratica l'aborto. Oggi le donne sono costrette a soffrire nel silenzio e ad intraprendere i "viaggi dell'aborto" come negli anni '70, nonostante sia in teoria un loro diritto. Porte chiuse in faccia, troppi cartelli con la scritta "qui non si pratica l'interruzione volontaria della gravidanza" e troppe testimonianze di omissioni di cura verso le pazienti che si sono rivolte a loro per abortire o semplicemente per avere delle cure dopo la procedura.

A molte donne è stato negato perfino il ricorso all'aborto terapeutico e alla pillola del giorno dopo(un farmaco antifecondativo e non abortivo!).

Rimedi estremi

L'obiezione di coscienza di massarende le donne deboli e disperate perché spesso non hanno la possibilità di ricorrere ad una clinica privata o estera. Rimangono i rimedi estremi come quelli casalinghi, o agli aborti praticati in ambulatori fuorilegge e pagati dai 2000 ai 3000 euro.

La cosa peggiore non è il costo, ma il prezzo da pagare: perforazioni, emorragie, setticemia e, molto, troppo spesso, la morte. Inoltre c'è anche il fattore tempo: mentre una donna incinta cerca di abortire spostandosi da un ospedale all'altro, addirittura da un paese all'altro, i tre mesi di gravidanza oltre i quali praticare l'aborto diventa pericoloso, passano.

Purtroppo non tutto si ferma al rifiuto dei medici di praticare l'aborto vero e proprio: a ciò si aggiunge il loro rifiuto di assistere la paziente anche prima, o dopo, l'atto causante l'aborto. Una cosa illegale, lo stabilisce la Corte di Cassazione, che riafferma l'obbligo per i medici di assistere sempre la paziente e di effettuare l'aborto terapeutico qualora la paziente corra pericolo di vita. Inoltre la legge 194 prevede un bilanciamento tra la possibilità di essere obiettori e l'applicazione stessa della legge, attualmente non rispettato.

La donna: essere sociale e non meramente riproduttivo

L'Italia non si è dimostrata pronta a superare l'idea che l'aborto sia una pratica medica e non solo una questione sociale; politica e religione riducono spesso la donna a mero essere riproduttivo,senza considerarla nel suo ruolo sociale.

Nel nostro Paese persiste una forte tendenza a considerare inaccettabile una donnache voglia sottrarsi al "dovere di procreare". Il problema è proprio qui: l'aborto non è un omicidio, ma ha "ucciso" il principio della sacralità della vita e con esso le concezioni tradizionali di maternità, procreazione, matrimonio e ruolo della donna:l'idea che la donna sia prima di tutto "madre" (non importa a quale prezzo) e poi un essere sociale dotato di propria dignità e libertà di scelta.