L'Italia, secondo l'ISTAT,non proietta lo sguardo sull'avvenire e investe poco nell'istruzione e nella formazione,specialmente nelle materie scientifiche, indispensabili per l'innovazione e losviluppo.

Facciamo poco per migliorare le strutture e incentivareinsegnanti e studenti a partecipare ai percorsi formativi, per la crescita e lavalorizzazione del capitale umano. Nel Centro e nel Nord si spende meno che alSud e siamo agli ultimi posti in Europa, con una spesa pubblica del 4,5%del PIL nel 2010.

Anche nella spesa per laricerca e lo sviluppo ci collochiamo oltre la media europea.

Nel 2010, ilrapporto tra questo capitolo di spesa e il Pil è dell'1,26%. Resta così stabileil gap con i paesi europei più avanzati.

La debolezza italiana si conferma anche nel settore privato con un rapporto tra spesa e Pil pari a 0,68%,ancora stabilmente di sotto la media europea dell'1,24% nel 2010, connessoanche all'oggettiva difficoltà di organizzare la ricerca tra le piccole impreseche caratterizzano il tessuto produttivo italiano.

Nel 2011, in Italia, il 20,3% dei giovani di 30-34 anni ha conseguito untitolo di studio universitario, conun incremento di 4,7 punti percentuali rispetto al 2004, masiamo lontani dal target del 40%fissato dalla Comunità europea e comunque all'ultimo posto.

Tra gli obiettivi della Strategia di Lisbona, v'è quello di incentivarei giovani allo studio delle disciplinetecnico-scientifiche, con un incremento del 15% in dieci anni delnumero di laureati in queste discipline, giacché uno scarso numero di laureatiin discipline scientifiche si traduce in una perdita complessiva dicompetitività internazionale nel campo dell'alta tecnologia e nell'innovazione.In Italia, le quote sono cresciute costantemente nell'ultimo decennio,consentendo di avvicinarci all'obiettivo, grazie anche alla riforma dei cicliaccademici.

Nel 2010 l'indicatore si attesta su 12,4 laureati in materiescientifiche ogni mille residenti 20-29enni. Tuttaviasiamo ancora negli ultimi posti, persino dietro Grecia, Lettonia e Bulgaria.

In tale contesto,i giovani che abbandonano gli studi prematuramentesono molti. La riduzione di questo indicatore sotto la soglia del 10%, rientratra i 5 obiettivi della Strategia di Lisbona per il 2010 e in Italia non èstato raggiunto, infatti, nel 2011 la quota di giovani che ha interrotto precocemente gli studi èpari al 18,2%, con una maggiore incidenza dei maschi rispetto alle femmine.

Ora non ci resta che puntare sull'obiettivo del2020.

I giovani che lasciano la scuola non confluiscono nemmeno nel mondoproduttivo, giacché nel 2011, più di due milioni di giovani, pari al 22,7% percento della popolazione tra i 15 e i 29 anni, risulta fuori dal circuitoformativo e lavorativo e ci collochiamo al terzo posto dopo la Bulgaria e laGrecia.

Calano anche gli addetti alla ricerca sul totale della popolazionee aumenta il divario tra Nord e Sud. Nel 2010, si rilevano 3,7 addetti alla ricerca e sviluppo ogni milleabitanti, che ci collocano persino dopol'Estonia e all'undicesimo posto per la presentazione di brevetti.

A mio avviso, questi indicatori spiegano anche i bassi livelli di competitività di costo delle imprese,ove ci collochiamo all'ultimo posto nel 2010, e sull'insoddisfacente dinamicadella produttività del lavoro checolloca l'Italia dopo Germania, Francia, Spagnae Danimarca.