Rallentano i prezzi e vola la disoccupazione in Eurolandia dove ormai fra gli addetti ai lavori cresce il timore che la "sindrome europea" da deflazione possa rafforzarsi e affossare ulteriormente un'economia continentale già piuttosto malandata. I sintomi sono peraltro già tutti presenti: modesta crescita, bassa inflazione, disoccupazione dilagante, soprattutto giovanile, in ampie zone dell'area euro e una politica monetaria inefficace a riattivare gli investimenti con cui stimolare l'economia reale. Tutte condizioni che se protratte nel tempo condurrebbero il mercato comune europeo alla depressione nel medio periodo.

Gli ultimi dati rilasciati mostrano una panorama poco rassicurante sul fronte dei prezzi e dell'occupazione: il tasso di inflazione medio di Eurolandia si è attestato allo 0.5% (0.4% in Italia) mentre 5 Paesi su 18 (Spagna, Portogallo, Cipro, Grecia e Slovacchia) stanno già sperimentando in questi mesi una tendenza negativa sui prezzi. Solo un anno fa il tasso d'inflazione europeo si attestava sull'1.7%, un livello più compatibile con gli obiettivi della BCE. Meglio non va per l'occupazione con il tasso ufficiale dei senza lavoro che ha sfondato quota 13% in Italia.

Fiscal compact e governo europeo inefficace

Se da un lato i Paesi di Eurolandia hanno ingabbiato a livello nazionale le proprie politiche fiscali nella camicia di forza del Fiscal Compact, dall'altro non esiste ad oggi un governo economico comunitario credibile e capace di invertire la rotta in maniera tale da tutelare gli interessi collettivi di Eurolandia.

A questo grave deficit strutturale si aggiunge la profonda incertezza politica sull'esito delle elezioni del 25 maggio e sull'effettiva possibilità che si possa cambiare la "non politica economica comunitaria" per poter invertire una rotta che, a livello europeo, è divenuta tendenzialmente deflattiva.

Le evidenti divergenze politiche fra i Paesi e la debolezza dell'azione di governo delle istituzioni comunitarie nella definizione delle politiche di stimolo della domanda interna per contrastare la crisi hanno determinato un'inerzia decisionale che è quindi sfociata in una sommatoria di stringenti vincoli di tipo ragionieristico con cui cercare di tamponare una finanza pubblica comunque difficilmente gestibile in una fase di recessione prolungata come quella che stiamo vivendo.

A causa delle crescenti tensioni sociali peraltro i vari governi nazionali hanno preferito tagliare gli investimenti in conto capitale piuttosto che la spesa pubblica e questo ha ulteriormente disarmato l'unico strumento di politica economica anticiclica a disposizione dei governi per poter contrastare il calo di fiducia e una contrazione della domanda interna di queste dimensioni.

In definitiva i vincoli del Fiscal compact sono sostenibili solo in presenza di un governo economico europeo forte.

Ricalibrare la politica monetaria europea

Se dal punto di vista politico le istituzioni europee vivono al momento uno stallo pre-elettorale che si innesta sullo stallo politico precedente, Mario Draghi e il board dei governatori possono agire per ricalibrare una politica monetaria ad oggi orientata da un lato a sopperire al deficit di decisioni politiche dei leader europei e dall'altro a stabilizzare una crisi finanziaria prevalentemente scatenata da un crollo di fiducia in Eurolandia.

Oggi, appare necessaria una trasformazione della BCE e della sua politica monetaria che deve poter stabilire ulteriori obiettivi macroeconomici, compatibili con il mandato primario della stabilità dei prezzi.

In particolare, sul fronte esterno, si deve stabilire una politica valutaria sui cambi: l'euro deve smettere di essere moneta che replica passivamente gli umori del mercato. Questo vuol dire che il board della BCE deve essere autorizzato ad acquistare titoli di Stato denominati nelle valute disallineate con gli obiettivi di cambio stabiliti dal board dei governatori della BCE.

Sul fronte interno, bisogna pensare a come orientare la politica monetaria sul versante degli investimenti e quindi inventare un growth easing: la BCE deve stimolare gli investimenti accettando come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento nuove speciali obbligazioni bancarie emesse a fronte di prestiti in conto capitale all'economia reale.

Devono essere facilitati gli investimenti e la creazione di nuove imprese, di nuove PMI e si deve facilitare il sostegno a quegli operatori già operativi che stanno soffrendo per una riduzione della circolazione del denaro. Questo deve diventare l'obiettivo primario della politica monetaria della BCE.