Italia sempre più povera. Tra disoccupati, inoccupati, cassintegrati, sottopagati, il nostro Paese sta diventando economicamente sempre più fragile. Tante le imprese che chiudono, con molte che preferiscono investire all'estero. Anche chi prova ad avviare un'attività in proprio, deve fare i conti con una burocrazia farraginosa e lenta e una pressione fiscale opprimente, ormai arrivata a una media del 43%. I pensionati fungono sempre più da ammortizzatore sociale, aiutando col proprio modesto reddito, figli disoccupati o figli divorziati ritornati in casa magari con figli da accudire.

Gli ultimi dati diramati in queste ore dall'ISTAT poi, non aiutano certo ad essere ottimisti. Secondo il più importante Istituto di Statistica italiano, nel nostro Paese ci sono 10.048.000 persone che vivono in condizioni di povertà relativa, ossia il 16,6% della popolazione. Tra questi 6.020.000 sono poveri assoluti, ossia coloro che non riescono ad acquistare neanche beni e servizi per una vita dignitosa; e costituiscono il 9,9% della popolazione italiana. Un italiano su dieci.

Tra il 2012 e il 2013 l'incidenza di povertà relativa tra le famiglie è sostanzialmente stabile (passata dal 12,7% al 12,6%), mentre l'incidenza di povertà assoluta è aumentata. Soprattutto, manco a dirlo, nel Meridione d'Italia: qui infatti nel 2013 sono poveri in maniera assoluta 725 mila persone in più rispetto al 2012.

La povertà assoluta diffusa in tutta la Penisola ha peraltro raggiunto il record dal 2005, quando si fermava al 4,1% (2.381.000 persone). In pratica, raddoppiata in 9 anni. La crisi economica generale iniziata nel 2008 e acuitasi tra il 2010 e il 2012 ha così mietuto molte vittime, sfasciando sempre più il tessuto economico-sociale del nostro Paese.

Sempre più sono quelli che ricorrono alla Caritas per pranzare e cenare; anche persone che un lavoro ce l'hanno. Serie politiche sociali e una graduale defiscalizzazione sono dunque provvedimenti necessari se non si vuole che i dati peggiorino ulteriormente negli anni successivi.