Con il profondo rosso di ieri (-10%) e le manovre adottate nella notte, sembrava che, per la Russia, il peggio fosse passato. Invece, contro ogni pronostico, l'allentamento monetario adottato nella nottata di lunedì con l'innalzamento del tasso d'interesse dal 10,5% al 17% ha prodotto effetti solo nei primi minuti dall'apertura della Borsa, che è tornata ad inabissarsi nel rosso.

E che rosso. L'indice Rts russo registra oggi una perdita del 19% (poi ridotto a -10%), con il peggior crollo mai registrato dal lontano 1995. Piazza Affari nervosa, dopo essere scivolata in negativo (-1,64%), strappa sul finale un +3%.

Positive, in chiusura, tutte le piazze europee. Prosegue il crollo del rublo, oggi arrivato a quota 100 sull'euro ed 80 sul dollaro. Scende anche il prezzo del greggio scambiato a 60 dollari al barile.

La Russia nella bufera

Con gli eventi delle ultime settimane è ormai sotto gli occhi di tutti come il Paese di Vladimir Putin stia rovinosamente accelerando verso il baratro. Lo spettro del tracollo finanziario si fa sempre più vivo. E basti pensare a come soltanto tre mesi fa il rublo scambiava a 50 sopra l'euro, già in una condizione di crisi economica e spinta deflazionistica particolarmente radicate. Con oggi però si verifica quello che gli analisti hanno definito senza mezzi termini "il giorno del giudizio": un solo giorno in cui giudicare e condannare anni di politiche economiche sbagliate.

In realtà in Borsa non esiste il "giudizio universale", l'Apocalisse, si tratta piuttosto di una valutazione e correzione che il mercato effettua sulla scorta di una notevole emorragia di denaro che, da ormai tre anni, interessa la Russia.

E così da marzo, Bank Rossii, la Banca centrale russa, aveva tentato di dare fiato al mercato (e tempo alla politica) cominciando una disperata campagna di rialzo dei tassi d'interesse che ha portato all'ultimo di ieri notte.

In poche ore il comitato di sicurezza ha votato un'innalzamento fino al 17% del valore del denaro, bruciando in una sola nottata ben 80 miliardi. Si tratta di una mossa disperata, che vuole anche dimostrare come il paese di Putin abbia ancora il controllo della situazione.

Mosca però ha accumulato negli anni notevoli riserve auree, tanto che un confronto con la crisi del 1998, che portò in quel terribile agosto alla svalutazione del rublo ed il default del Cremlino, risulta a dir poco fuori luogo.

Di fatto però il crollo del petrolio rischia di portare ad una contrazione del Pil russo attorno al 4,5-4,7% nel 2015. Una condizione catastrofica, come sostenuto dalla stessa Bank Rossii. Insomma la Russia è entrata in una spirale viziosa dove il calo del prezzo del petrolio aggrava lo stato di crisi economica, sottraendo risorse al Paese, e provoca la svalutazione del rublo. In questo contesto, le sanzioni per la guerra in Ucraina alimentano la fuga di capitali, che pesa a sua volta sul cambio.

Il timore in Europa

Gli sconvolgimenti che stanno interessando la Russia non fanno che peggiorare lo stato di crisi vissuto dal vecchio continente, in una situazione in cui lo spettro deflazionistico sta inevitabilmente trasformandosi in una triste e cruda realtà. E proprio su queste basi s'inserisce il commento del falco Weidmann, Presidente della Bundesbank, che sottolinea come ormai la Bce abbia esaurito gli strumenti convenzionali, la situazione sia difficile, ma non sia compito della Banca centrale spendere ulteriore tempo per le politiche riformiste dei Paesi della zona euro.