Una manciata di giorni e il campo di Idomeni sarà probabilmente solo un ricordo. Qualcuno l’ha definito “la Dachau dei giorni nostri, il risultato della logica dei confini chiusi”. Quel qualcuno è il Ministro dell’Interno greco Panagiotis Kouroumblis. Siamo al confine con la Macedonia, lungo la “rotta balcanica” che i migranti provenienti dal Medio Oriente hanno inteso percorrere per raggiungere i paesi del Nord Europa, Germania e Svezia in primis.
La polizia greca ha avviato la sgombero del campo profughi di Idomeni, dove fino a ieri soggiornavano almeno 8400 persone contro le 2500 per le quali era stato pianificato. La maggior parte delle persone proveniva dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan e ora tutti si sono trovati impantanati in quella che è “la più grande pozzanghera d’Europa” (ecco un’altra definizione) dopo la decisione della Macedonia di chiudere il varco e presidiarlo per impedire il passaggio dei migranti. Che ora, da Idomeni, dove stanno andando? O meglio, dove li porteranno?
Le operazioni di sgombero, per fortuna, sono iniziate senza tumulti, senza violenza né sopraffazioni, seppur in un clima di tensione che ha portato allo schieramento di centinaia di poliziotti per gestire una fase che durerà in totale almeno una decina di giorni, ma non è affatto escluso che i tempi si dilateranno.
Al momento, le autorità greche hanno trasferito circa duemila persone in altri campi, controllati dall’esercito, nel nord della Grecia, nell’area intorno a Salonicco. Contestualmente, il governo ellenico mira a ripristinare la linea ferroviaria lungo la quale si è esteso il campo di Idomeni e che è interrotta da oltre 60 giorni. Giorgos Kyritsis, portavoce del governo per la crisi dei rifugiati, ha parlato di seimila posti già pronti nei centri d’accoglienza, destinati ad aumentare, per garantire ospitalità a tutte le persone che verranno evacuate da Idomeni, che è un campo non ufficiale, una tendopoli approntata dai migranti proprio in quanto prossima al confine con la Macedonia, coltivando attesa e speranza per una riapertura dei varchi che, ad oggi, resta una chimera, spezzando il sogno di tante famiglie di ricongiungersi.
Per lo più donne e bambini, gli abitanti di Idomeni sono stati convinti ad accettare lo sgombero anche con una proroga di un mese del permesso di soggiorno ottenuto una volta entrati in Grecia. Ma per la maggior parte di essi, il permesso è già scaduto. E allora che fare?
C’è un limbo in cui sono sospese oltre 50mila persone in una Grecia ancora al centro di una crisi umanitaria. E il trasferimento dei profughi da Idomeni in altre strutture ufficiali, seppur migliorando le loro condizioni igieniche e abitative, si rivelerà niente più che un palliativo, se non si troveranno mezzi e intenti per sbloccare la situazione. Senza contare che il regolamento di Dublino III afferma che i coniugi o i figli minori di rifugiati già approdati in uno stato dell’Unione Europea possano fare domanda di asilo nel medesimo paese in cui si trova il proprio familiare, ma questo diritto viene negato alle donne e ai bambini di Idomeni. Per quanto si possa rimandare, il problema resta a galla e la Grecia, da sola, non può trovare la soluzione.