Alzi la mano chi dava per scontato un esito del genere. C’è chi parla di Brexit all’americana, chi invece si stropiccia gli occhi non capendo le ragioni che hanno portato il tycoon al successo. Molti si sono soffermati solo e soltanto sull’immagine che i media hanno restituito di lui. Certo sì, con la complicità di un uomo non esemplare in più frangenti, ma fermarsi a questo sarebbe ancora più sorprendente del verdetto che ha consegnato agli Usa il nuovo inquilino alla Casa Bianca. Ma andiamo con ordine: Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, il 45°della storia.

Hillary Clinton ha perso, e con lei il sogno di vedere la prima donna nella storia a capo del paese.

I numeri, gli stati decisivi e il verdetto che premia Trump

I mercati piangono, il tycoon è stato contestato al seggio, mentre il mondo osserva attonito; le borse crollano, il dollaro ha uno scompenso e pure il prezzo del petrolio. Tutti segnali che danno il senso di quanto fosse inattesa la svolta alla Casa Bianca. Via i Democratici, dentro i Repubblicani, ma non con uno qualunque: mr. Donald Trump ha vinto e il suo partito si è preso il Congresso, con la maggioranza sia alla Camera che al Senato; è un vantaggio di cui Obama non ha goduto. Le vittorie del tycoon in Ohio e Florida hanno dato il via al verdetto-sorpresa, spinto poi dalle sue affermazioni negli stati del Wisconsin e del North Carolina.

Poi la Pennsylvania e l’Alaska e, a ruota, tutti i passi che consentono al tycoon di raggiungere e superare i 270 grandi elettori necessari per conquistare la Casa Bianca. Quando il verdetto è annunciato, Trump gode di 279 grandi elettori contro i 218 a favore della Clinton; il voto popolare premia il tycoon con oltre 57 milioni di preferenze, circa un milione in più rispetto a quelle di Hillary.

I detrattori del tycoon faranno bene, adesso, a distogliere lo sguardo dai sondaggi e dagli show televisivi che hanno caratterizzato, anche in modo volgare e fuorviante, la corsa alla Bianca per concentrarsi su aspetti più importanti in un momento di fragilità della politica americana: la sovranità del popolo a dispetto dei sondaggi; i problemi reali e le verità intercettate da Trump, ben oltre la sua offensiva populista, quali l’aumento delle disuguaglianze e l’arresto della mobilità sociale, l’aumento del costo della vita senza l'adeguamento dei salari; lo scollamento tra paese reale e politica, tra i media e i cittadini, che hanno espresso un voto dettato anche da una certa dose di disperazione, ma la scelta di Trump è anche un no all’establishment, nel quale Hillary rappresentava una sicurezza, mentre Donald è sempre stato percepito come una mina vagante, anche dal suo stesso partito.

Ma l’America cambia, e a farne i conti non sarà solo lei.

Le prime parole di Donald, e quelle di Hillary

Uno dei primi a metterci la faccia è stato Barak Obama. L’ormai ex presidente ha parlato di elezioni “strane” e “stressanti” in una democrazia storicamente “rumorosa” come quella americana, rassicurando però i suoi cittadini sul fatto che, indipendentemente dall’esito del voto, “il sole sorgerà” di nuovo e “l’America sarà ancora il più grande paese al mondo”. Hillary Clinton, invece, non è intervenuta pubblicamente ai microfoni, ma ha rilasciato soltanto un tweet per dire: “Qualsiasi cosa accadrà, grazie lo stesso”. Il suo staff invita gli elettori democratici ad andare a casa, mentre è festa tra i repubblicani e a New York, nel quartier generale di Trump, il primo a prendere la parola è Mike Pence: “E’ una notte storica in America” - dice.

Quindi arriva il tycoon, guadagna il palco accompagnato dalla famiglia e le sue prime parole sono: “Grazie America. Ho appena ricevuto una telefonata da Hillary Clinton, che si congratula con noi. Ora è il momento per l’America di superare le divisioni e di restare unita”. Quali saranno le sue prime mosse? Infrastrutture, posti di lavoro e diplomazia in politica estera. Staremo a vedere.