Dopo il terzo no alla mozione presentata da Boris Johnson per richiedere lo scioglimento dei Comuni e le elezioni anticipate, la storia infinta della Brexit sembra essere a un punto di svolta; il numero uno di Downing Street non si è fatto cogliere impreparato: ha preso la parola annunciando la presentazione di uno short bill per votare il prossimo 12 dicembre ed evidentemente chi doveva capire, ha capito.
Infatti, il leader laburista Jeremy Corbyn, da sempre contrario al no deal, ha interrotto ogni tipo di ostilità dichiarando di essere sempre stato pronto alle elezioni purché non fosse possibile l'uscita con il no deal.
Con 438 voti a favore e solo 20 contro, la Camera dei Comuni ha dato il via libera alla legge e Johnson incassa la vittoria; la data proposta dal governo per le elezioni anticipate è il 12 dicembre 2019. Così il premier britannico spera di trovare una maggioranza solida che gli dia la possibilità di mantenere la promessa dell'uscita dall'Unione.
A questo proposito, sono state disattese le speranze di chi come il leader del Partito Nazionale Scozzese Ian Blackford, che auspicava la possibilità di far votare anche sedicenni (che già votano in Scozia, ndr) e studenti universitari che, si sa, sono per il remain.
La vice speaker dei Comuni Lindsay Hoyle ritiene infatti inammissibili gli emendamenti riguardanti la convocazione del voto politico anticipato.
Con la 'flexestention' Boris Johnson respira, ma Bruxelles dà un ultimatum e chiede che sia nominato un commissario
Dal referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione del 23 giugno 2016, indetto dall'allora Premier conservatore David Cameron durante i negoziati per un nuovo accordo con Bruxelles, ne è passata di acqua sotto i ponti. Allora Cameron non aveva la Brexit (crasi dei termini inglesi 'Britain' ed 'exit', ndr) tra le sue priorità, tanto che fu il primo a dichiararsi contrario. Il referendum aveva il solo scopo di rendere tanto Bruxelles quanto i partner europei più malleabili nelle trattative.
Si formarono due schieramenti che si contrapposero con grande veemenza: coloro che erano a favore del Remain (conservatori, laburisti, liberaldemocratici, Verdi d'Inghilterra e Galles e Partito Nazionalista Scozzese) e coloro che, invece, propendevano per il Leave (il conservatore Boris Johnson e il Partito per l'Indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage). Vinse il Leave con il 51,9%. Essendo un referendum consultivo e, quindi, non vincolante, si rese necessario un passaggio parlamentare per approvare una legge che rendesse applicabile l'articolo 50 e desse il via al negoziato.
Da quel 23 giugno, la cosiddetta 'flexestention' (cioè un rinvio flessibile) è la terza proroga concessa dall'Unione europea al Regno Unito e Bruxelles avvisa che potrebbe essere l'ultima.
L'attuale Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha chiesto, via Twitter, di usare il tempo concessogli. Ha aggiunto anche che il Regno Unito rimarrà uno Stato membro fino all'uscita con tutti i diritti e i doveri che questo comporta.