Boris Johnson credeva che il parlamento britannico approvasse l'accordo sulla Brexit che aveva strappato alla Ue la scorsa settimana. Ha chiesto l'indizione di una seduta straordinaria per sabato 19 ottobre e lo ha portato alla Camera dei Comuni. L'ultima seduta tenuta di giorno prefestivo si era avuta durante la guerra delle Falkland.

Johnson pensava di essere riuscito a convincere un numero sufficiente di parlamentari indecisi per ottenere l'approvazione dell'accordo. Invece Oliver Letwin, recentemente uscito dal partito conservatore proprio per dissensi con Johnson, ha presentato un'emendamento e gli ha messo i bastoni fra le ruote.

L'emendamento infatti stabiliva che il voto decisivo dell'aula non debba aver corso, prima dell'approvazione di tutta la legislazione ad esso legata. Ed è stato approvato con 322 voti contro 306.

Una precedente legge fatta approvare dalle opposizioni fissava la scadenza del 19 ottobre per l'approvazione di un'eventuale accordo con la Ue. Non rispettandolo il governo avrebbe dovuto chiedere un rinvio della Brexit all'Ue sino al 31 gennaio 2020. Per Johnson, che aveva sbandierato l'uscita dell'Uk dalla Ue entro ottobre "senza se e senza ma" è stato un vero smacco. Intanto, in strada, centinaia di migliaia di manifestanti intonavano cori di giubilo chiedendo un secondo referendum sulla Brexit.

Boris Johnson costretto a richiedere il rinvio della Brexit al 2020

Nella stessa serata del 19, Johnson ha inviato al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk la richiesta di proroga della Brexit. Per puntiglio, però, non l'ha voluta firmare, sostenendo che la legge che lo costringe a richiedere il rinvio non glielo imponga.

Subito dopo ha mandato una seconda lettera a Tusk. Con tale seconda missiva faceva presente che, qualora entro il 31 ottobre fosse riuscito a far approvare comunque la legge sull'accordo, non sarebbe stato necessario attendere il 31 gennaio per la Brexit.

Quindi, lunedì mattina, ci ha riprovato. Ha ripresentato la legge pro-Brexit alla Camera senza emendamento Letwin, chiedendo un particolare tipo di voto, detto “significativo”.

Invece, lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha respinto la proposta di Johnson di rimettere ai voti l'accordo sulla Brexit per il 21 ottobre. Bercow ha affermato che l'istanza non può essere riproposta nella forma originaria dopo l'emendamento apposto dalla Camera due giorni prima.

Forse c'è ancora uno spiraglio per Boris Johnson ed evitare il rinvio

A questo punto il caos. Da un lato Johnson sta tentando una corsa contro il tempo per far approvare entro questa settimana le leggi attuative dell'uscita dall'Ue e ripresentare l'accordo raggiunto con il pacchetto completo per farselo approvare entro il 31 ottobre. A ben guardare, proprio i numeri dell'emendamento Letwin certificano comunque l'esistenza di una maggioranza favorevole al 'Boris deal' pur facendone slittare la scadenza.

A Bruxelles sono sconcertati. Tusk ha detto che il consiglio europeo valuterà le note di Johnson. C'è poco da valutare, se non si vuole aggiungere altra confusione al contesto. Un'eventualità che non spaventa di certo Macron il quale ha addirittura ventilato un veto della Francia all'accettazione del rinvio.

Si fa presente che tale accordo, a differenza di quello strappato dalla May, risolve in modo singolare il cosiddetto Backstop. Cioè la questione doganale del confine tra Irlanda e Regno Unito. Esso prevede l'imposizione di dazi sulle merci che giungono nelle coste inglesi da quelle nordirlandesi. In sostanza, l'Irlanda del Nord, almeno per quattro anni, resterà in unione doganale con l'Europa ma non con la Gran Bretagna.

Nelle piazze ora si fronteggiano la folla inferocita dei brexiters e del popolo pro remain. Costoro hanno già manifestato a Londra con molte migliaia di persone, forse un milione, per un secondo referendum. Insomma in confronto alla situazione Politica inglese, quella dell'Italia sembra il massimo della distensione ed assolutamente “rose e fiori”.