I dati appena diffusi dall'Istituto Nazionale di Statistica in materia di disoccupazione evidenziano uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni. Nel primo trimestre del 2014 il tasso di disoccupazione tocca la percentuale del 13.6% in crescita di uno 0.8% rispetto allo stesso periodo del 2013. In questo contesto la percentuale di disoccupazione giovanile (la fascia d'età compresa tra i 15 ed i 24 anni) arriva al 46%. In pratica su due disoccupati uno è giovane. Se analizziamo esclusivamente il territorio del sud riscontriamo una disoccupazione generale del 21.7%, e una disoccupazione giovanile che arriva ad una percentuale da brividi: il 60.9%!

Le reazioni

Il presidente di Confindustria Squinzi commenta in maniera preoccupata i dati dell'Istat sottolineando che, benché si stia resistendo dal 2007 a questa difficile congiuntura, non si vede alcun segnale di miglioramento. Anzi, a ben guardare c'è quello 0.8% di aumento della disoccupazione su base annua che è il dato più impressionante. La leader della CGIL, Susanna Camusso, pone l'accento, invece, sul crescente e abissale divario registrato nel confronto occupazionale tra nord e sud evidenziando come un serio programma di assorbimento delle forze lavorative esistenti non sia neppure decollato. A Poletti, ministro del lavoro, viene lasciato il difficile compito di difendere il governo in carica promettendo l'inversione del segno negativo entro fine anno.

Quale sarà davvero il futuro?

La dichiarazione del ministro del lavoro parte dall'assunto che per arrivare a nuove assunzioni occorra prima saturare o quasi la capacità produttiva degli attuali investimenti industriali. Intanto ci sarebbe da dire che in un periodo di crisi sistemica come quella attuale, caratterizzata da una scarsa circolazione monetaria e da una non adeguata "massa di reddito" a sostegno della domanda interna, non si vede come gli apparati industriali possano spingere al massimo la produzione.

Ma al di la di ciò occorrerebbe sottolineare che, in un contesto del genere, ad un ipotetico aumento della produzione interna non corrisponde un proporzionale incremento occupazionale. Anzi, in certi casi, come negli investimenti ad alto contenuto tecnologico, l'incremento occupazionale è pressoché inesistente! Pertanto la crescita produttiva non garantisce automaticamente l'assorbimento delle giovani leve e la conseguente diminuzione della disoccupazione giovanile.

Quali soluzioni adottare allora? La logica non lascia scampo: o si decide di diminuire il numero di ore di lavoro aumentando il numero dei dipendenti con i livelli stipendiali del tempo pieno grazie all'aumento di produttività garantita dall'innovazione tecnologica, oppure bisognerà percorrere strade inesplorate finora, come quella del reddito di cittadinanza tanto cara a giovani soggetti politici come il movimento 5 stelle.

In realtà quest'ultima proposta, che a prima vista potrebbe apparire fantasiosa, è già consolidata in paesi come Francia e Germania e la "ratio" di un tale sostegno è proprio quella di garantire quel sostentamento minimo ad ogni cittadino maggiorenne laddove dovesse trovarsi in carenza di lavoro.

Il reddito sarebbe assicurato limitatamente al periodo di disoccupazione e non potrebbe protrarsi oltre un certo tempo. Questa misura prospettata costituirebbe non solo una soluzione di civiltà ma anche un importante "sostegno alla domanda interna" giacché alimenterebbe il normale ciclo produttivo garantendo equilibrio all'intero sistema economico.