C'è allarme tra i dipendenti statali per il profilarsi della possibilità di tagli allo stipendio. All'indomani della prima approvazione della riforma della Pubblica Amministrazione, spuntano tra le maglie del provvedimento le prime clausole che hanno fatto drizzare le antenne ai sindacati.
Per quanto riguarda le nuove regole di selezione dei dirigenti esterni, già si sapeva che sarebbero state introdotte procedure che prevedono di attingere da un apposito albo, interrompendo così la pratica della chiamata 'ad personam'.
Ma la pietra dello scandalo che ha provocato la levata di scudi del sindacato sono state le tabelle di equiparazione per quei dipendenti cui sarà applicata la mobilità.
Riforma della Pubblica Amministrazione: mobilità forzata e tagli allo stipendio.
Con l'introduzione del principio di mobilità forzata, cioè il trasferimento da un'amministrazione all'altra per coprire carenze di organico, nasce l'esigenza di mantenere la parità di stipendio in caso di organizzazioni retributive diverse. E' concreto il rischio, infatti, che a parità di mansioni e inquadramento, corrispondano retribuzioni diverse nelle varie amministrazioni: l'esempio è fatto da un calcolo del quotidiano Il Messaggero, secondo il quale, ad un livello III F7 del dipendente di un ministero, il più elevato, corrisponde una retribuzione di 30.648,62 euro l'anno.
Se questo dipendente fosse trasferito ad una Regione o ad un altro ente locale, sarebbe inquadrato nel livello D6 che prevede una retribuzione di 28.342,72 euro.
Questa corrispondenza è l'oggetto delle tabelle di equiparazione, presentate ai sindacati dal ministro Marianna Madia che, nel prevedere l'integrazione con un assegno a parte per coprire la differenza di retribuzione, ha specificato che tale assegno sarà progressivamente compensato da eventuali futuri aumenti contrattuali. In pratica, i dipendenti statali oggetto di mobilità forzata, sul momento non subiranno tagli dello stipendio, ma non potranno avere aumenti contrattuali fino a quando questi non assorbiranno l'assegno integrativo a copertura della differenza di stipendio.
Riforma della Pubblica Amministrazione: sindacati sul piede di guerra.
Una tale eventualità è stata immediatamente contestata dai sindacati, che evidenziano come questa manovra nasconda in realtà la possibilità di tagli allo stipendio che interessa, potenzialmente, tutti i 3 milioni di dipendenti statali, anche se, in concreto, le prime vittime saranno i 20 mila dipendenti delle Province da ricollocare. Un'eventualità inaccettabile, per i sindacati, anche in considerazione del fatto che i contratti degli statali sono fermi dal 2010, con una perdita di potere d'acquisto stimata in circa 5 mila euro.
'Le tabelle servono a dare certezze ai lavoratori', ha cercato di stemperare i toni il ministro Madia, secondo la quale la mobilità forzata non farà perdere un euro di stipendio o di pensione ai lavoratori. Sindacati accusati, tra l'altro, di voler portare avanti una 'battaglia ideologica' proprio in previsione della prossima grande operazione di mobilità che vedrò coinvolti i dipendenti delle Province. Quello che è certo, è che l'attesa riforma della Pubblica Amministrazione non è ancora partita, ma già si preannuncia essere un campo di dure battaglie.