Opzione donna è sul punto di essere estesa oltre le lavoratrici nate entro settembre del 1958 se dipendenti o 1957 se autonome. Questo in sintesi quanto si evince dalla parole del Ministro Poletti. Quest’ultimo infatti, rispondendo all’interrogazione parlamentare della sua compagna di partito, l’Onorevole Gnecchi, ha anticipato i risultati del monitoraggio di opzione donna che sarebbero dovuti uscire a settembre. Il Ministro ha parlato di risparmi rispetto allo stanziato in sede di vecchia Legge di Stabilità, risparmi che saranno reinvestiti per continuare nella sperimentazione della misura.

Perché si è speso di meno ed a chi toccherà adesso la possibilità di anticipare la pensione? Vediamo adesso tutte le novità dell’ultima ora per quanto concerne la anticipata contributiva per le lavoratrici.

Opzione donna, cos’è?

Opzione donna è una misura che consente alle donne che hanno 35 anni di contributi, di uscire dal lavoro a 57 anni e 3 mesi (58 e 3 per le autonome) di età. In pratica si anticipa di molti anni l’uscita che la Fornero ha fissato a 66 anni e 7 mesi in caso di pensione di vecchiaia o 42 anni e 10 mesi di contributi in caso di pensione di anzianità, come si chiamava una volta. Il provvedimento è sperimentale, cioè non vale per tutte le donne, ma solo per quelle che hanno raggiunto i requisiti entro il 31 dicembre del 2015, come stabilito dalla scorsa Legge di Stabilità.

Adesso si tratta di vedere come fare per estendere l’opzione anche a coloro che i requisiti li raggiungono dopo.

La pensione contributiva come funziona?

L’anticipo di pensione non è certo gratuito, perché alle lavoratrici è chiesto un sacrificio in termini di assegno percepito. Il sacrificio è celato dietro il ricalcolo contributivo perché queste donne, devono accettare di farsi calcolare l’assegno di pensione con il metodo più penalizzante rispetto a quello retributivo o misto che gli spetterebbe aspettando l’uscita con le regole oggi vigenti, quelle stabilite dalla Fornero.

Probabilmente questo è stato il motivo per il quale, pur di non subire tagli di assegno ingenti, le lavoratrici hanno scelto di rimanere al posto di lavoro. Infatti, Poletti ha ribadito come dei 2,5 miliardi stanziati, ad oggi risultano spesi solo a poco più di 63 milioni. Possibile quindi che già nella prossima finanziaria si estenda il provvedimento quanto meno alle nate nell’ultimo trimestre del 1958 che sono rimaste fuori per colpa dei 3 mesi di aspettativa di vita, ma non è azzardato immaginare un’estensione più lunga, magari fino al 2018 come auspicato dai comitati e dai gruppi di lavoratrici.

Il ricalcolo contributivo, come dicevamo, significa taglio di assegno. Il sistema di calcolo è complesso perché devono essere inseriti i contributi versati prima del 1996 quando il sistema era ancora retributivo. Trasformare in montante contributivo attività di lavoro molto indietro negli anni è difficile e per questo le norme hanno stabilito che vengano presi in considerazione, per esempio, solo i 10 anni antecedenti il 1996 per i versamenti AGO, o addirittura solo l’ultimo anno e mezzo per quelli con almeno 15 anni prima del 1992. Tra base imponibile, retribuzione media settimanale, anzianità contributiva, rivalutazione e montanti, l’assegno per queste lavoratrici viene tagliato anche oltre il 30%.

Ecco perché il ricalcolo appare un deterrente difficilmente superabile, a tal punto che opzione donna viene scelta solo da quelle lavoratrici che per un motivo o per l’altro sono costrette o quasi a lasciare il lavoro, “accontentandosi” della pensione tagliata e lasciando sul piatto parte di essa pur di lasciare il lavoro.