Nel corso degli ultimi anni (e degli ultimi mesi in particolare) si è notato l'aumento esponenziale di bandi di concorso per le più diverse aree di competenza e questo dato potrebbe essere di per sé rassicurante. Purtroppo però, con dati alla mano, si spende molto di più di quanto si assume ed è proprio per questo motivo che le istituzioni -e gli enti locali in primis- si trovano inflazionate da procedure da dover attivare per ricercare personale. Se si pensa poi al blocco del turn over nel settore pubblico, la situazione diventa piuttosto drammatica.

Per questi motivi sono state affrontate diverse tematiche nel recente decreto della riforma Madia -entrata in vigore da pochi giorni- per cercare di fronteggiare quest'esigenza.

I nuovi concorsi

La chiave di volta per superare il sistema di assunzioni attuale è il concetto di "fabbisogno triennale". Si tratta di un arco di tempo durante il quale "smaltire" letteralmente gli ammessi ad un determinato concorso. Di questa procedura sarà possibile avvalersene solo con riferimento agli organi centrali dello Stato tra i quali Inps, Inail oppure i Ministeri. Pesanti esclusioni sono state previste per il settore scolastico nonché quello relativo alla polizia ed alle forze armate.

Il primo fabbisogno da considerare sarà quello relativo al triennio 2018 - 2020 ed è proprio per questo motivo che si prevede, entro settembre, una direttiva da parte del ministero recante i criteri con cui poter avviare la procedura del "concorso unico".

Nel sistema saranno notevoli i cambiamenti. Basti pensare a cosa accade oggi nelle amministrazioni e confrontare l'ipotesi con quella prospettata dal decreto in questione. Se ad esempio un ministero dovesse aver bisogno di risorse, anziché bandire un concorso ad hoc per la ricerca di candidati che possiedono le caratteristiche richieste (ciò che accade oggi), attingerà direttamente da graduatorie formulate all'esito di un unico concorso.

E' chiaro quindi lo smistamento tra le diverse Autorità richiedenti il personale di coloro che supereranno il concorso indetto.

Si passa quindi da un sistema specifico a un sistema generico su richiesta in cui i candidati saranno destinati alle istituzioni che avranno bisogno di assumere. Il chiaro scopo della normativa è quello di eliminare alla fonte il problema dei micro-bandi, fin troppo costosi in termini economici e di ricorsi eventuali e successivi, per le tasche dello Stato che in questo modo sparirebbero.

Regioni e Comuni

Il discorso poc'anzi fatto non vale (o meglio, non ancora) per le Regioni e i Comuni che potranno beneficiare della procedura solo in seguito ad un'intesa con il Governo che per ora sembra non essere stata ancora avanzata.

Tuttavia, non sono mancate novità anche sul versante degli idonei vincitori di precedenti concorsi nonché del personale precario. Viene stabilita una quota di riserva del 50% relativa ai posti banditi per coloro che abbiano prestato servizio per almeno 3 anni negli ultimi 8 e che siano stati inquadrati con un contratto di collaborazione oppure un contratto a termine.

I dati preoccupanti

Ricordando lo scopo della riforma, ossia evitare l'abuso di "micro-bandi" di concorso pensati appositamente per la singola amministrazione, si nota un trend preoccupante soprattutto se si pensa al report della Banca d'Italia la quale ha chiaramente affermato -secondo quanto riportato dal Corriere della Sera- che dal 2001 al 2015 gli enti locali hanno bandito più di 19 mila concorsi per assumere a tempo indeterminato un numero medio di due candidati, per ciascun bando.

Si chiarisce anche di come spesso non venga rispettato il principio di meritevolezza, ragion per cui i nuovi concorsi dovranno obbligatoriamente prevedere accertamenti di lingua inglese nonché di informatica di base.