Decidere se uscire dal mondo del lavoro avvalendosi di quota 100 sarà una scelta volontaria e non obbligatoria. Sarà una scelta che dovrà essere valutata su basi personali che toccheranno l'aspetto economico. In termini pratici, ogni lavoratore potrebbe arrivare a perdere fino al 3,5% dell'importo totale per ogni anno con cui esce in anticipo. Secondo quando riportato da Il Messaggero ci sono poi anche 4 opzioni di uscita.

Ricordiamo che per usufruire di quota 100 è necessario avere 62 anni d'età anagrafica e 38 anni di contributi versati.

Quota 100: perdita fino al 3,5% all'anno

Secondo Il Messaggero chi decide di andare in pensione con quota 100 potrebbe perdere fino al 3,5% dell'assegno all'anno. Ricordiamo che questa forma previdenziale è stata introdotta in via sperimentale per il triennio 2019-2021 e non é obbligatoria. Se vogliamo fare un esempio concreto possiamo prendere come riferimento lo stipendio medio di un impiegato, ovvero 1.500 euro: nella prima opzione considerata il soggetto potrebbe uscire con un anno d'anticipo, ma perderebbe il 3,5% del totale; nella seconda opzione il periodo di anticipo potrebbe essere di un anno e 9 mesi, allora la perdita salirebbe al 6 6%; la terza sarebbe che il lavoratore decidesse di anticipare l'uscita di 4 anni, la perdita sarebbe di quasi il 15%; infine, varrebbe la possibilità di avvalersi dell'uscita anticipata a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne.

Le penalizzazioni non riguardano uno specifico settore ma sono uguali sia per i dipendenti pubblici che per i lavoratori privati.

La scelta è del singolo soggetto

Quota 100 non è infatti obbligatoria, ma nasce anche con lo scopo di garantire un turnover generazionale. Se migliaia di lavoratori decidessero di aderirvi, rimarrebbero vacanti altrettanti posti di lavoro. Sarebbe così possibile l'assunzione di altrettanti giovani al momento disoccupati. Chi decidesse di continuare a lavorare garantirebbe a se stesso un incremento economico sull'assegno pensione. Tale situazione si verificherebbe poiché si agirebbe su due fronti: aumenterebbe anzianità contributiva per il sistema retributivo, mentre aumenterebbe il montante per il sistema contributivo.

Ricordiamo, infatti, che il sistema contributivo si basa sull'età con la quale si esce dal mondo del lavoro ed il numero di contributi versati. Ad oggi tale sistema incide solo su un quinto del totale dell'assegno pensione, ovvero da quando nel 2012 è entrata in vigore la legge Fornero.