Sulla corruzione in Italia le notizie si susseguono rapide. Adesso Roma e l'Umbria. Qualche mese fa l'Expo di Milano, il Mose di Venezia. Tutti anelli di una catena infinita. L'articolo del New York Times International della corrispondente Elisabetta Povoledo, datato 11 dicembre 2014, riporta i recenti sviluppi dell'inchiesta romana con qualche riferimento a quella umbra, dando un giudizio alquanto sconfortante sulla situazione del nostro Paese e facendo balenare l'idea che in teoria nessun angolo d'Italia sia indenne dalla corruzione.
Questo ci permette una riflessione.
La corruzione in Italia è figlia di un individualismo sfrenato, che si ribella a qualsiasi senso comunitario. Quel senso del "bene comune" che tanto viene propagandato durante i periodi elettorali è pura finzione o esiste solo per una minoranza di persone. L'articolo americano dice che in Italia la corruzione è data per scontata, perché fa parte del vivere quotidiano: è una grande offesa, può suscitare rabbia, ma indica la verità. La corruzione fa parte del vivere quotidiano, perché trova una forte alleata in quella tolleranza collettiva, incapace di puntare il dito contro chi non paga le tasse, chi dichiara il falso, chi lavoricchia invece di lavorare seriamente, chi ruba, chi approfitta della posizione che occupa per il suo interesse.
Se questa tolleranza si trasformasse in rigetto e in isolamento, la situazione prenderebbe un'altra piega. Nella nostra incapacità di cambiare noi stessi non percepiamo il senso del rispetto di ciò che appartiene alla collettività.
In una situazione culturale di questo tipo, dove in fondo conta soltanto l'interesse personale e quello della lobby di appartenenza e dove la giustificazione è che il mondo vincente è quello dei "furbi" e che solo i "fessi" si comportano con correttezza, i comportamenti illegali trovano un ambiente ideale e possono diffondersi tranquillamente senza incontrare resistenze. Possiamo rendere più severe le punizioni per chi verrà un giorno giudicato colpevole: è un atto doveroso, necessario, ma non risolutivo.
In realtà vale quanto sosteneva Cesare Beccaria: è sempre meglio prevenire che punire. Con ciò intendiamo dire che la punizione è un deterrente utile, ma non sufficiente e che la prevenzione passa da una modifica, a dir poco rivoluzionaria, della mentalità collettiva.