Notizia o informazione: questo è il dilemma che il lettore deve porsi di fronte all'articolo o alla notizia televisiva di cronaca nera. Esiste, infatti, la tendenza a fare più notizia che informazione, soprattutto quando si tratta di casi molto drammatici. Sembra quasi che i media non attendano altro, per dare il via a quella ridda di dati, congetture, indiscrezioni con le quali prima confezionano il lancio e poi seguono il corso delle indagini. Ci accorgiamo di quanta povertà si nasconda dietro a questo tipo di comportamento, che tende ad alimentare la morbosità della gente. La notizia è ripresa dai salotti televisivi, dove siamo ormai abituati a constatare che al peggio non esiste limite.
Nell'ultimo drammatico caso che riguarda il piccolo Loris, stiamo assistendo a una sorta di processo collettivo, che parte dalla famiglia e si estende a macchia d'olio, una specie di condanna pronunciata ancor prima di ottenere certezze. Qui l'attenzione dei media è elevatissima e funge da cassa di risonanza di qualunque frase venga pronunciata da chi è all'interno di quel contesto. Leggendo gli articoli di giornale ci accorgiamo che nascondono l'ansia di fare notizia e trascurano la loro vera funzione di informazione: cogliamo imprecisioni, contraddizioni, continue ripetizioni di contenuto. Spesso l'articolo contiene una prima parte con qualche novità e una seconda pressoché identica all'articolo del giorno precedente.
La morte di Loris è un atto barbaro, atroce e terribile e chi lo ha commesso deve essere condannato all'ergastolo. Ma la condanna si dovrebbe basare su un impianto accusatorio solido, su un serio lavoro investigativo. Non spetta né alla piazza, né ai giornali, né alle televisioni pronunciarla: qui ci accorgiamo di quanto avremmo bisogno di una informazione seria, che viva di fatti e non di ipotesi, che non offra campo alle inutili speculazioni intellettuali. Purtroppo ancora una volta ne sentiremo la mancanza.
Tuttavia qualcosa rende questo caso ancora più cupo e buio: nessuno è presente accanto a Veronica, già condannata senza appello da una folla invasa da un pericoloso senso di autodafè, sul quale i media sguazzano con la loro inumanità. Forse Veronica è colpevole, forse è vittima anche lei di qualcun altro. Di certo è vittima di una gestione dell'informazione che da tempo ha spento la luce dell'etica.