I revisionisti sostengono che Garibaldi, con due semplici navi, non avrebbe mai potuto superare l'Armata di Mare, se i comandanti non fossero stati corrotti da presunti emissari del Cavour. Ma la tesi è insostenibile, perché il primo ministro piemontese attendeva la disfatta del Generale e, solo con la vittoria garibaldina di Calatafimi, capì che l'impresa poteva riuscire e si affrettò a prendere in mano il controllo dei giochi.

Garibaldi riuscì a raggiungere la costa siciliana perché all'epoca, le 4 navi regie che dovevano intercettare i Mille navigavano a vista per controllare una vasto tratto di mare senza radar, sonar e satelliti che ci sono oggi. Aggiungiamo che il Generale era un abile navigatore e, essendo anche un audace, avrà avuto anche la fortuna dalla sua parte. Operazione impossibile? No di certo. Proprio la Storia ci racconta che nel 1941 gli inglesi credevano Alessandria d'Egitto una base inviolabile e Winston Churchill disse che, 6 italiani, equipaggiati con materiali dal costo irrisorio, avevano fatto vacillare l'equilibrio militare a vantaggio dell'Asse.

Garibaldini e borbonici

Garibaldi sbarcò a Marsala con la fama di uomo giusto. I siciliani accorsero a combattere perché sognavano una riforma agraria e odiavano i Borbone ed è per questo che i generali borbonici abbandonarono l'isola: non puoi battere il nemico se è prima la popolazione ad esserti contro. Garibaldi sbarcò in Calabria ingrossando il suo esercito meridionale di patrioti locali ed ex-borbonici convertitisi all'unità d'Italia e concluse la sua impresa con la battaglia del Volturno. Al comando di 30000 uomini sconfisse l'esercito borbonico forte di 50000, comandato dal Maresciallo Generale Giosuè Ritucci, che non giurò mai fedeltà ai Savoia. Perché ci riuscì?

Garibaldi era una figura carismatica e aveva una strategia militare anti-manuale, i suoi andavano all'attacco gridando Viva l'Italia, forte valore idealistico che si identificava col suolo inteso come Patria e moltissimi di loro provenivano dall'esperienza delle prime due guerre d'indipendenza e da quella della repubblica romana del 1849.

Gli avversari gridavano Viva o'Re, che però non vedevano mai sul campo di battaglia. I soldati, pur ben armati, erano addestrati soprattutto per l'ordine pubblico interno e mancavano di esperienza di guerra sul campo da circa 50 anni.

Anche la camorra fu coinvolta, dal prefetto Liborio Romano, per garantire l'ordine pubblico all'ingresso di Garibaldi a Napoli. Scelta moralmente discutibile, ma efficace perché ai camorristi, sotto il Borbone, era consentito controllare gioco d'azzardo e prostituzione in cambio dell'ordine pubblico popolare, in modo che polizia ed esercito potessero combattere i cospiratori liberali. La tesi neoborbonica che la camorra, prima dell'arrivo del Generale, non avesse spazio, è priva di fondamento storico.

Quando Cavour capì che il grosso era fatto, tolse di mezzo Garibaldi, prima che questi si facesse convincere da Mazzini a proseguire per Roma con una spedizione rivoluzionaria e repubblicana. I tempi non erano ancora maturi per abbattere il Papato. Cavour non voleva rischiare un intervento delle potenze europee. Ma Garibaldi aveva già detto no a Mazzini. Consegnò l'ex-regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II e, rifiutando onori e compensi (titolo nobiliare, un castello e una ricca pensione annua), si ritirò nella sua isola di Caprera. Il nuovo regno d'Italia si preparava a nascere. Ma nuovi problemi sarebbero sorti. (continua nella quinta parte: "Storia e Antistoria, Regno delle Due Sicilie: economia, brigantaggio ed emigrazione").