Questa mattina nel suo l’editoriale “L’illegalità diffusa che alimenta la nostra corruzione”, Ernesto Galli della Loggia affronta il tema della corruzione nel nostro Paese, esaminandone l’aspetto sociologico.

Egli descrive le malefatte di un simbolico giovane italiano, che copia i compiti, imbratta i muri e i bagni della scuola, “trucca” la marmitta del motorino, usa i mezzi pubblici senza biglietto, fa abuso di alcol (fornito illegalmente da negozianti senza scrupoli dediti solo al guadagno) e che infine, giunto all’università, ottiene l’esenzione dalle tasse universitarie grazie alle mendaci dichiarazioni al fisco dei genitori.

Tutta colpa del nostro “divenire ricchi e moderni”, secondo l’editorialista, quasi sottendendo che questa ricchezza e modernità in fondo non ce la meritiamo.

L’illegalità come elemento di antropologia culturale è la tesi di Galli della Loggia: gli italiani sono un popolo di immorali trasgressori, corrotti e corruttori irredimibili.

Percezione e realtà.

Una tesi che ha radici ben solide nell’immaginario come dimostra l'“Indice della percezione della corruzione”, elaborato dal Transparency International, che ci viene annualmente propinato per convincerci che siamo il popolo più corrotto del mondo. Effettivamente in tale indice non siamo messi bene: nel 2015 l’Italia è penultima nell’Unione Europea, superata solamente dalla Bulgaria.

Tuttavia si parla di percezione della corruzione, rilevata con interviste che chiedono valutare il grado di corruzione della nazione. E' un meccanismo che si auto-alimenta: prima ti convinco che sei il più corrotto dei popoli, poi ti intervisto e – sorpresa! - l’intervistato conferma che siamo il più corrotto dei popoli.

Ultimamente, però, il caso Volkswagen, le manipolazioni e falsificazioni di Deutsche Bank (sul prezzo dell’oro, sulle valute e sul bilancio), gli scandali della Siemens, (accusata di maxi corruzioni in ben 20 Paesi) hanno un po’ fatto traballare il mito dell’Italiano mafioso e corrotto e del Tedesco biondo e dalla moralità integerrima. Sarebbe importante verificare, più che le percezioni, i dati reali sul grado di corruzione comparando i diversi Paesi europei.

Ma questi dati non esistono, se tralasciamo la "bufala" dei 60 miliardi (la metà della corruzione di tutta la U.E.!) diffusa dalla stessa Commissione Europea nel 2014.

Esistono però i dati sull’evasione fiscale, altro mantra dell’autorazzismo italiano. Cosa ci dicono?  Che non siamo così tanto più evasori degli atri. A fronte di un PIL che vale il 12% di quello dell'Eurozona (dati Eurostat), abbiamo una evasione che vale il 12% di quella dell'Eurozona se prendiamo i dati di Confindustria 2015 o del 18% se prendiamo i dati di Tax Research di Londra. Consideriamo però che Gran Bretagna, Germania e Spagna hanno in tutto 28  zone a tassazione agevolata dove si possono legalmente pagare tasse molto basse: è chiaro che non si possono fare confronti omogenei con Paesi che permettono di fare dumping fiscale!

Subalternità

Insomma, la narrazione dell’enormità della corruzione e dell’evasione fiscale italiane è più mito che realtà ma, riproposta in continuazione dai media, riesce a influenzare negativamente l’opinione degli Italiani su loro stesi, fino convincerli della loro inferiorità culturale, morale e persino antropologica rispetto agli altri popoli.

A che fine? Scalfari l’ha detto chiaramente nei suoi editoriali: siccome siamo corrotti, evasori, spendaccioni, incapaci di governarci è bene che la Troika venga a mettere ordine nei nostri conti, nella nostra politica e nella nostra moralità, riavvicinandoci alla “durezza del vivere” (Padoan-Schioppa), visto che la ricchezza che ci ritroviamo non ce la meritiamo.

Questi influencer, che non sanno cosa farsene delle libertà costituzionali e del tenore di vita che i nostri padri, con il loro lavoro e il loro sacrificio, ci hanno lasciato, ardiscono ad essere colonizzati e depredati dai Paesi che controllano la Troika. Ma di loro si occuperà, a suo tempo, la storia.