Le prime analisi del voto britannico che sancisce l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea (anche se i negoziati saranno molto lunghi), e le prime reazioni dell'establishment europeo al voto, mi spingono a produrre alcune riflessioni che voglio condividere.
Il voto ha scompaginato gli schieramenti politici: hanno votato per la brexit sia gli elettori conservatori che, soprattutto, quelli laburisti.
Hanno votato brexit le classi più povere del paese, le periferie, le zone industrializzate e rurali, che corrisopondono anche alla parte di popolazione meno istruita, mentre ha votato remain Londra, la capitale mondiale della finanza. Strutturalmente, quindi hanno votato per la brexit gli adetti nell'agricoltura e nell'industria, mentre probabilmente il settore dei servizi (finanziari in primis) ha votato a maggioranza per il remain.
Cosa sia successo, quindi, mi sembra abbastanza chiaro: la working class e forse la borghesia legata alla produzione industriale, il vecchio ceto medio, insieme agli agricoltori hanno segnato il loro atto di ribellione nei confronti della attuale leadership finanziaria del paese (e mondiale).
L'orizzonte di un nuovo conflitto
A partire dagli anni Ottanta, ed in maniera più incisiva con questa crisi, la liberalizzazione del capitalismo ha impoverito ed emarginato queste classi sociali a beneficio della nuova classe dominante, quella della della finanza. In questo settore lavorano le persone più istruite, mediamente laureate, che mantengono comunque la sensazione psicologica di appartenere alla classe sociale dominante, anche quando così spesso da questa vengono sfruttate e sottopagate (in fondo è proprio questa la parte più deideologizzata, incoscente e destrutturata dei lavoratori). Queste persone hanno votato remain.
Ovviamente vedremo come andrà a finire, perché le attuali élites non accetteranno così facilmente di cedere o condividere le loro ricchezze ed il loro potere.
Poiché però il referendum britannico ha certificato che, insieme ai loro dipendenti, sono numericamente la minoranza, per essi si pone da oggi più profondamente il problema democratico, ovvero della compatibilità dei sistemi democratici novecenteschi con i loro disegni egemonici.
Questo ci porta dritti al cuore del problema, che riguarda tutti gli altri Stati europei e non solo: il destino della pace e della democrazia. In questo senso le prime reazioni dell'establishment europeo, che di queste élites è il portavoce, non è per nulla rassicurante. Si preannuncia un arroccamento della UE sulle parole d'ordine "l'UE è un processo storico ineluttabile e non si può tornare indietro". Oggi è fallito il tentativo di condizionare la scelta democratica di un Paese attraverso la paura del ricatto economico, come è successo per la Grecia e come, probabilmente, succederà con la Spagna.
Ma con la Francia nel 2017 questa strategia non funzionerà. Ci sarà allora la possibilità che una progressiva escalation porti ad un nuovo conflitto civile europeo.
Certo, quando si è in pace nessuno vuole credere che potrà scoppiare una guerra, è stato sempre così. Ma le guerre poi sono scoppiate ugualmente.