25 novembre: si torna a parlare di violenza sulle donne. Negli ultimi anni il tema dell femminicidio è diventato uno degli argomenti più gettonati dai tg tanto da diventare un tormentone mediatico che, spesso, più che fare luce sul fenomeno, le sue cause e le soluzioni, contribuisce alla formazione di atteggiamenti e opinioni che incrementano la rabbia e il pregiudizio nell'opinione pubblica.
La violenza sulle donne: quanto ne sappiamo veramente?
La violenza sulle donne è un atto gravissimo, esattamente come la violenza verso un uomo, un bambino, un animale. Allora come mai nei mass media si parla quasi esclusivamente di femminicidio e non di violenza sugli uomini? Se è pur vero che esistono dati statistici importanti c'è anche da chiedersi come mai non si parla invece degli uomini vittime ogni anno di violenze femminili. Forse è arrivato il tempo di andare oltre i cliché e parlare anche di maschicidio? Secondo una ricerca, passata quasi inosservata, effettuata nel 2012 presso l'Università degli Studi di Siena su un campione di uomini trai i 18 e 70 anni, nell'anno 2011 ammonterebbero a 5 milioni le vittime di violenza femminile nel nostro paese.
Una violenza che assume dinamiche diverse, meno legate alla violenza fisica ma sopratutto psicologica ed economica.
Nel 2015 un'altra ricerca nell'ambito del progetto europeo Daphne III sulla violenza nelle dinamiche di coppia, effettuata su un campione di giovani tra i 14 e i 17 anni, ha rilevato che tra le vittime di violenza sessuale, in maggiore percentuale rappresentate dal campione femminile, figurava un 25% di maschi. Forse dobbiamo rivalutare, alla luce dei dati statistici, il fenomeno della violenza di genere. Nel numero 249 del 2014 della rivista psicologia contemporanea, lo psicologo e psicoterapeuta Mauro Fornaro, nel suo articolo "Femminicidio: le motivazioni dell'uomo" mette in guardia dalla facilità con cui cadiamo nel pregiudizio.
Comprendere e spiegare un fenomeno non significa giustificarlo. Non si tratta di schierarsi da una parte ma di studiare un fenomeno per comprenderlo. Tale punto di vista è esposto anche da Silvia Bonino, Ordinario di psicologia dello sviluppo dell'Università di Torino, nel numero 239 della stessa rivista che sostiene come le violenze siano diverse per qualità e gravità e chiamino in causa processi psicologici differenti.
"Tra le spiegazioni offerte dall'autrice - scrive Fornaro - talune meritano una sottolineatura, [...] a partire dal tema della violenza, per lo più psicologica della donna sull'uomo, un tema comprensibilmente negletto a fronte dei gravissimi fatti di violenze fisiche perpetrati dall'uomo".
Non possiamo negare che l'emancipazione femminile ha spaventato il maschio, che si è sentito privato del suo ruolo di capofamiglia: un fenomeno che ha generato complessi di inferiorità, insicurezze e paure ancestrali. A volte la fragilità si nasconde dove sembra esserci più forza. Mentre la donna si è evoluta acquistando potere, l'uomo si è sentito togliere quel potere non solo sul piano sociale ma anche nella relazione con il partner. Questo ha innescato dinamiche conflittuali. Sembra che l'uomo sentendosi minacciato e prevaricato dal potere femminile abbia reagito alla sua frustrazione, non giustificabile, con la violenza piuttosto che con l'elaborazione psicologica del suo vissuto emotivo.
Se è vero che l'uomo è più forte sul piano fisico e anche vero che la donna è capace di un tipo di violenza morale e psicologica più sottile ma non meno pericolosa. Questo elemento è sufficiente per sfatare il mito della donna come "sesso debole"? Esistono complesse dinamiche individuali, familiari e di coppia che si attivano inconsciamente. Forse dovremmo cercare di capire quali sono queste dinamiche, come prevenirle e quale ruolo ha la nostra cultura, basata sullo sfruttamento e sulla violenza, nel plasmare tali modelli relazionali e sociali. Allora più che di violenza contro le donne si lotterà per una nuova cultura basata sulla non-violenza.