In questi giorni, tra il 3 e il 5 novembre, si sta svolgendo a Padova un convegno intitolato «terza guerra mondiale? La gestione della morte tra le nuove emergenze sociali e la loro soluzione», diretto da figure di spicco come Ines Testoni , Alberto Voci, Adriano Zamperini e organizzato dall’Università di Padova. Obiettivo del convegno, si legge nella locandina che pubblicizza l’evento, è «descrivere da un lato in che modo la morte e la paura della morte promuovano la violenza, il terrorismo e la guerra e, dall’altro lato, di mostrare in che modo le strategie di pace e di riconciliazione possano ridurre l’effetto che la paura della morte ha sul comportamento umano».

Ad aprire la prima delle tre giornate di interventi è stato Emanuele Severino, eminente filosofo di caratura internazionale, che, pochi giorni fa, ha concesso un’intervista a Daniela Monti del «Corriere della Sera», per chiarire la propria posizione. Le affermazioni di Severino hanno da subito avuto un’eco rilevante, ma comprendere il suo stile spesso oscuro e volutamente intricato non è impresa semplice. Ripercorrere più nel dettaglio i passaggi dell’intervista, può essere un’operazione utile: è verosimile la minaccia di una Terza Guerra Mondiale?

Il parere di Severino

Sulla possibilità di una Terza Guerra Mondiale, Severino si esprime chiaramente: «La possibilità è ammessa anche in campo scientifico, si pensi alle previsioni di George Friedman».

Un pericolo più temibile preoccupa tuttavia il filosofo, in quanto le scienze non «tengono sufficientemente conto delle implicazioni che sussistono tra la tecnica guidata dalla scienza moderna e le forze che della tecnica oggi intendono servirsi per realizzare i loro scopi».

La vera catastrofe di cui l’umanità dovrebbe maggiormente preoccuparsi è il rischio reale che l’uomo, servendosi della tecnica per accrescere la propria potenza, finisca per darle troppo potere, permettendole di ridurlo in schiavitù: «Lo scopo dell’Apparato tecno-scientifico planetario non è il benessere [..] dell’umanità, ma è l’aumento indefinito della potenza.

[…] Lo scopo dell’Apparato non è l’”uomo”: l”uomo” è mezzo per l’incremento della potenza».

Per Severino la minaccia che la tecnica costituisce per il libero arbitrio umano è talmente grande che una guerra mondiale, a confronto, sarebbe ben poca cosa. Le potenze internazionali che si servono della tecnica pensano di avere il coltello dalla parte del manico e non si accorgono che invece si stanno rendendo dipendenti dalla tecnica stessa, dunque «sono destinate al tramonto e la tecnica è destinata a dominarle.

Il risultato è sorprendente: la conflittualità tra tali forze diventa una guerra di retroguardia, obsoleta, rispetto al conflitto primario che esiste tra l’insieme di esse e la tecnica».

Una volta messa sul trono, la tecnica cercherà di ridurre al silenzio ogni coscienza, eliminando la possibilità di concepire una qualche soluzione alternativa. Per fortuna però questo sviluppo non si è ancora compiuto e il presente dispone di mezzi sufficienti a rendere reversibile il processo finora approvato. Quello che Severino vuole farci capire, è che la tecnica può rivelarsi un’arma a doppio taglio, un’arma che non è necessario buttare via, ma che va quanto meno utilizzata con cautela e responsabilità. In una questione così spinosa è difficile stabilire confini netti tra utile e dannoso, ma le ultime parole del pensatore italiano sono ottimiste e fiduciose nella capacità del pensiero di ribellarsi a tutto ciò che lo vuole ridurre in catene: «I nuovi nemici sono le forme storiche destinate a condurre oltre il tempo della stessa dominazione della tecnica – giacché nemmeno questa dominazione ha l’ultima parola. Anzi, l’inizio dell’ultima parola, che peraltro è una parola infinita, incomincia a questo punto».