Avranno anche vinto gli italiani, anzi una maggioranza di italiani che, per motivi diversi, ha bocciato la riforma Boschi. Hanno vinto le opposizioni, quelle oltranziste rappresentate da Lega e Movimento 5 Stelle. Ha vinto Silvio Berlusconi che premedita la sua ennesima discesa in campo, hanno prevalso la minoranza dem del PD e la sinistra radicale che sono riusciti nell'intento di far dimettere il premier anche se si tratta di una vittoria di Pirro.
Paradossalmente, ha vinto anche Matteo Renzi: ha dimostrato coerenza lasciando in mano ad altri la patata bollente. Soprattutto, ha vinto nei confronti dei componenti del PD che non hanno sostenuto la sua riforma. Il dato del referendum dimostra che Matteo Renzi può fare a meno del PD, il partito non può rinunciare al suo leader. Ad oggi, dopo un numero di consultazioni da record da parte del presidente della Repubblica ed altrettante, differenti posizioni in merito al nuovo esecutivo, diciamo pure ad alta voce che l'unica in Italia ad uscire con le ossa rotte dal post-referendum è la politica, quella vera.
La carica dei 23
Ventitré delegazioni ricevute dal Capo dello Stato per le consultazioni relative al nuovo esecutivo. Si tratta di un primato per la Seconda Repubblica, il precedente apparteneva al predecessore di Sergio Mattarella, Giorgio Napolitano, che nel 2007 incontrò 22 delegazioni prima del rinvio alle Camere di Romano Prodi. Nel 2011, dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi, le consultazioni si articolarono in 16 incontri; furono 14 quelli che precedettero l'incarico a Matteo Renzi nel 2014 e quelle successive alle dimissioni di Prodi nel 2008. Tornando all'attualità, in questi giorni era stata aperta la strada a due ipotesi: quella di un governo di transizione guidato da Paolo Gentiloni o da un'altra figura indicata dalla maggioranza, oppure quella di un Renzi-bis che traghetti il Paese al voto dopo la sentenza della Consulta sull'Italicum (24 gennaio).
La prima potrebbe essere ancora in pista, la seconda è da escludere soprattutto per la non disponibilità del diretto interessato.
Le forze politiche chiamate ad una prova di maturità
"C'è bisogno di un governo nel pieno delle sue funzioni, abbiamo dinanzi adempimenti e scadenze che vanno rispettate". Questo il parere di Sergio Mattarella dopo la lunga serie di consultazioni. Sarà dunque il Capo dello Stato a dare la sua indicazione, dopo che il PD non ha fornito alcun candidato per la presidenza del Consiglio. Una sola certezza: non sarà Matteo Renzi. "Il PD sostiene Mattarella nella soluzione della crisi che egli riterrà più opportuna. Le opposizioni hanno rifiutato la possibilità di un governo di responsabilità nazionale".
Questa, in sintesi, la dichiarazione del capogruppo del PD al Senato, Luigi Zanda. Il nodo della questione è legato alla nuova legge elettorale perché con quella attuale sarà difficile creare una maggioranza stabile per guidare il Paese. Ma anche dopo le modifiche apportate dalla Corte Costituzionale, l'Italicum necessita di essere rivisto dal parlamento. Sarebbe opportuno un compromesso tra le forze politiche che permetta di rivedere la normativa ed andare al voto in primavera, ma questa politica di 'duellanti all'arma bianca' sembra aver perso quello che è sempre stato uno dei fondamenti della politica stessa. Senza contare che l'appuntamento più importante che attende il Paese resta il dossier europeo sui conti che ha bisogno di un esecutivo pienamente legittimato dal voto di fiducia del Parlamento, il quale dovrà a sua volta fissare con la Commissione Europea tutte le tappe di un confronto imprescindibile per quello che sarà il giudizio finale sulla manovra.
Inutile dire che serve una prova di maturità da parte di tutti, altrimenti i soggetti candidati a guidare il Paese si dimostrerebbero della stessa pasta degli elettori muniti di gomme e cancellerie varie ai seggi elettorali. L'Italia non è questa, almeno non ancora.