Il 14 maggio, anniversario dei 70 anni dalla nascita dello stato di Israele, sono avvenuti scontri durissimi fra palestinesi, uomini, donne e, purtroppo, bambini e l’esercito ebraico. I palestinesi hanno voluto manifestare la loro opposizione sia ai confini imposti dallo Stato di Israele sia all’inaugurazione della nuova ambasciata degli Stati Uniti d’America che da Tel Aviv è stata spostata a Gerusalemme.

Israele aveva avvertito ed informato che non avrebbe consentito ai palestinesi di avvicinarsi al confine di Gaza e che avrebbe reagito con la massima durezza a provocazioni, sia pure inermi, ai propri confini. I palestinesi non hanno voluto accettare questa imposizione e in migliaia si sono presentati al confine, appunto anche con donne e bambini piccoli e piccolissimi. La reazione dell’esercito ebraico è stata durissima, anche eccessiva, ed i risultati drammatici sono tutti in questi numeri impressionanti anche per uno scenario di guerra che continua da oltre mezzo secolo.

Dalla cronaca qualche considerazione

Per passare dalla cronaca dei fatti drammatici alle considerazioni personali, crediamo che ci sia un sovrapporsi di responsabilità veramente incredibile e senza giustificazione. Proviamo ad esaminarle, senza pregiudizi e senza malanimo nei confronti di nessuno.

Gli USA, o meglio il suo attuale Presidente Trump, che si muove sullo scenario internazionale come un pistolero dei filmetti western di anni fa, ha ritenuto necessario provvedere al trasferimento della propria ambasciata a Gerusalemme proprio in un momento in cui i rapporti fra Palestina ed Israele sono molto tesi: atto che, evidentemente, è stato letto come una vera e propria provocazione dai palestinesi.

Gerusalemme non avrebbe nessun bisogno delle parate all’Ivanka Trump, ma di uno statuto internazionale che garantisca parimenti le tre religioni monoteistiche (il cattolicesimo, l’ebraismo e fede islamica) visto che per tutti è considerata una città Santa; servirebbe semmai uno statuto internazionale che garantisca, magari sotto la supervisione dell’Onu, la pace ed il totale disarmo della città.

Palestinesi e Israeliani, due popoli, due sofferenze

Da una parte i Palestinesi, popolo disgraziato disperso, sottoposto a immani barbarie e veri e propri genocidi, schiacciati tra nemici israeliani, appoggiati dagli americani, e nemici arabi (libici, giordani, siriani ecc) che li hanno combattuti al pare degli altri.

Nemici esterni ma anche interni come una classe dirigente spesso di dubbia moralità (ricordiamo tutti gli scandali avvenuti dopo la morte di Arafat, che molti dubbi ha creato e crea in tutti i paesi occidentali, certamente in alcune sue componenti contigui al terrorismo internazionale. Detto questo la responsabilità di portare intere famiglie, addirittura dei neonati in uno scontro così violento lascia purtroppo adito al sospetto che si fosse alla ricerca di annoverare tra le proprie fila altri martiri, forse meno di quanti siano stati, ma comunque il dubbio che abbiano usato il proprio popolo come scudi umani si fa sempre più forte.

Dall’altra gli israeliani, anch’essi da millenni perseguitati, cacciati e vittime di genocidio.

come possono reagire in maniera così violenta, eccessiva, spropositata fino ad arrivare ad uccidere 60 manifestanti? Come è possibile che non ci siano altri armi di dissuasione? Come si può giustificare l’eccidio di tanta gente armata di fionde, sassi e, forse sì, anche bottiglie molotov, rispondendo con armi automatiche? Come si può arrivare a una tale carneficina?

La conclusione è molto amara: oggi si svolgeranno i funerali dei 60 palestinesi uccisi, oggi ci saranno altri scontri, oggi ci saranno altri morti... e purtroppo la storia si ripeterà ancora.