Qualcosa è cambiato nella corsa alla nomination democratica e repubblicana, in vista delle elezioni presidenziali di novembre prossimo? Se non proprio cambiato, bisogna riconoscere la tenacia degli inseguitori nel rendere la lotta perlomeno avvincente. In campo democratico, Hillary Clinton rimane la favorita, soprattutto grazie ai voti che i super-delegati del suo partito le hanno concesso, permettendole di arrivare a 1.767 delegati contro i 1.110 del coriaceo senatore del Vermont.
Dal canto suo, Bernie Sanders può vantare una striscia positiva di vittorie negli ultimi 6 stati in cui si è votato, dimostrando quanto il successo elettorale vada oltre la sola simpatia che i giovani, e alcuni stati liberali della costa est, riconoscono a lui e al suo programma elettorale "anti-sistema".
Il Grand Old Party
Nel partito repubblicano, risulta chiara la strategia dell'endorsement del Grand Old party: impedire che vinca Donald Trump, ritenuto pericoloso ma soprattutto perdente nell'eventuale elezione presidenziale di novembre. Non che il rivale, il senatore del Texas Ted Cruz, venga considerato la panacea di tutti mali anzi, il suo essere probabilmente troppo conservatore è ritenuto potenzialmente dannoso e certamente perdente agli occhi degli elettori americani.
La tattica anti-tycoon punta a bloccare il miliardario newyorkese, impedendogli di superare il 50% del totale dei delegati in suo favore, per dirottare i voti durante la convention repubblicana finale di Cleveland del 18 luglio su un candidato istituzionale. Questi potrebbe essere il Presidente della Camera Paul Ryan.
Tutti a New York il 19 aprile, quindi, con 291 delegati in palio per i democratici e 95 per i repubblicani. A questo punto, non resta che chiedersi chi sarà in grado di dare il morso più grande alla "Grande Mela": vedremo se sarà uno tra i nativi di New York, Sanders e Trump, o se la spunterà l'ex senatrice Clinton, che fu eletta proprio in questo collegio. E chissà se al texano Cruz rimarrà almeno uno "spicchietto" della "mela newyorkese".
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