Tra i più celebri passaggi del suo 'Principe', Nicolò Machiavelli aveva sottolineato che la condizione ideale di un sovrano è quella di essere, allo stesso modo, amato e temuto. Quando manca una di queste peculiarità, allora è sempre meglio esser temuti. Il concetto vale più o meno per l'epoca contemporanea, riferito ad un qualunque capo di Stato. Ma essere temuti in base alla forza militare espressa dalla propria nazione, in un mondo che vive ormai di condivisione globale, non è sempre producente. Da questo pensiero nasce il cosiddetto 'Soft Power', un insieme di caratteristiche che rendono un Paese influente nel resto del mondo, indipendentemente dalla propria condizione di superpotenza.

Il concetto è stato coniato per la prima volta da Joseph Nye, ex docente dell'Università di Harvard e politologo di fama internazionale, nel suo libro dato alle stampe nel 2004. "Soft Power: The Means to Success in World Politics" è un testo in cui lo studioso statunitense fa riferimento alle abilità diplomatiche e politiche con cui le nazioni raggiungono i propri scopi. Sulla scia del professor Nye, per il terzo anno consecutivo la società di consulenza 'Portland', con sede a Londra, ha elaborato la "Soft Power 30", la classifica dei trenta Paesi più influenti al mondo grazie ad un arte più complessa e sottile rispetto ai 'muscoli' mostrati da americani e sovietici durante il periodo della guerra fredda.

L'arte della politica, certamente, ma anche della tecnologia, della cultura, dell'ospitalità, della capacità imprenditoriale, dell'educazione e della vivibilità.

Il primato francese

Nel 2017 il primo posto per influenza internazionale legata al Soft Power è occupato dalla Francia che, in tal senso, deve tantissimo all'elezione del nuovo presidente Emmanuel Macron.

Un leader giovane e carismatico, disposto al confronto ed aperto alla globalizzazione. La Francia ha fatto un considerevole passo in avanti, visto che lo scorso anno era soltanto quinta: l'effetto Macron si è pertanto dimostrato più forte delle paure di una nazione nel mirino di frequenti attacchi terroristici e con il pericolo crescente di una destra populista e xenofoba.

I rigurgiti di anacronistico nazionalismo sono dunque controproducenti al Soft Power, se consideriamo che nel 2016 questo primato spettava agli Stati Uniti, grazie al grande lavoro diplomatico dell'allora presidente Barack Obama. Quest'anno gli States sono retrocessi alla terza piazza e l'elemento negativo è la presidenza di Donald Trump. Al secondo posto, tra Francia e States, si colloca il Regno Unito che, in tal senso, non muta il proprio piazzamento rispetto a dodici mesi fa, mentre nel 2015 (anno del primo Soft Power 30) le isole britanniche erano al primo posto.

Italia fuori dalla top ten

Continuando a scorrere la classifica, al quarto posto troviamo la Germania (terza nel 2016), al quinto il Canada (quarto lo scorso anno) ed al sesto il Giappone che sale di un posto rispetto al 2016 ed è la prima nazione asiatica rappresentata in ambito Soft Power.

La top ten prosegue con il settimo posto della Svizzera, l'ottavo dell'Australia, il nono della Svezia ed il decimo dell'Olanda. L'Italia è fuori dalla top ten, in questi tre anni non è mai entrata tra i primi dieci ed è attualmente tredicesima, dietro Danimarca e Norvegia e davanti ad Austria e Spagna. C'era stato un miglioramente lo scorso anno, il Belpaese era salito dal 12° posto del 2015 all'11°. A permettere un posizione che, comunque, mantiene l'Italia nella parte alta della classifica non sono gli indicatori principali quali politica, impegno globale, tecnologia o educazione, bensì altri fattori che hanno un peso minore, ma nel caso italiano incidono in maniera pesante. Parametri come cultura o cucina, ancora oggi, sono tra i pezzi forti dello Stivale.

Piccoli progressi di Russia e Cina

Guadagnano qualche posizione in classifica tanto la Cina quanto la Russia. I cinesi avevano occupato la trentesima ed ultima piazza in ambedue le precedenti classifiche, oggi sono al 25esimo posto, uno in più rispetto alla Russia che ha comunque guadagnato una posizione rispetto all'anno scorso, mentre era totalmente assente nel 2015. Gli ultimi tre posti della classifica sono occupati dall'Ungheria, dove la condotta dichiaratamente xenofoba dell'attuale governo certamente non giova al Soft Power, il Brasile che sta risentendo del cataclisma politico in atto e, ovviamente, la Turchia diventata ormai una sorta di 'Erdoganistan'. Letteralmente scomparsi dalla graduatoria, dopo il 2015, Paesi come Israele e Messico.

Fine dell'egemonia angloamericana

L'ideatore di questo report per la società 'Portland' si chiama Jonathan McClory. "Interessante guardare come la classifica di quest'anno sia determinata dai cambiamenti geopolitici in atto - ha detto, commentando i risultati dello studio - che stanno ponendo fine all'egemonia angloamericana. Elementi come Brexit o il programma 'America First' di Donald Trump, evidentemente, sono negativi". Dello stesso parere l'ideatore del Soft Power che ben conosce la capacità diplomatica e tanti altri fattori che, insieme alla potenza militare, avevano consentito per anni agli Stati Uniti di essere il Paese più influente al mondo. "Trump sta danneggiando il Soft Power statunitense - ha spiegato Joseph Nye - anche se gli elementi oggetto di questa analisi generalmente non mutano dopo pochi anni, almeno in condizioni normali. Evidente, pertanto, che quelli che stiamo vivendo oggi non sono tempi normali".