Il presidente cinese Xi Jinping ha colto l’occasione - avendo annientato tutti i potenziali rivali e critici interni - e sta cambiando la costituzione per consentire a se stesso di rimanere in carica a vita. Il comitato centrale del Partito comunista cinese ha proposto che il Congresso Nazionale del Popolo, il parlamento nazionale, possa togliere dalla costituzione il requisito secondo il quale il presidente e il vicepresidente "non possono servire più di due mandati consecutivi" di cinque anni.
Il Congresso Nazionale del Popolo è dominato dal Partito Comunista ed è ampiamente considerato come un timbro di gomma - metafora politica - si riferisce a una persona o istituzione con un considerevole potere de jure ma con un potere di facto molto limitato che, raramente, sono in disaccordo con organi più potenti.
Xi Jinping: un po' sogno americano, un po' Mao Tse-tung
Il successo dell'emendamento proposto è quasi assicurato. Se approvato, permetterà al presidente cinese Xi Jinping di rimanere in carica a tempo indeterminato. In assenza di un emendamento costituzionale, Xi Jinping, dovrebbe dimettersi dalla presidenza nel 2023.
È stato eletto per la prima volta nel 2013 con un voto di 2.952 su 2.953, ed è sicuro che verrà rieletto quest'anno a un secondo mandato di cinque anni. La speculazione è che l'unico voto contro Xi Jinping nel ballottaggio segreto del 2013 fosse di ... Xi Jinping stesso.
Al suo congresso quinquennale, quattro mesi fa, il partito ha consacrato il suo "pensiero sul socialismo, ben radicato nella tradizione comunista ed aperto ad una nuova era" e con questo, la sua costituzione, elevandolo a uno status più alto di qualsiasi altro leader dai tempi di Mao Tse-tung.
La Cina post Mao
Negli ultimi anni, la Cina è stata spesso considerata un modello di governo autoritario di successo, non democratico ma comunque meritocratico ed efficace.
Le principali basi della meritocrazia autoritaria della Cina sono presumibilmente le sue tradizioni di leadership collettiva e rotazione del potere. Ciò aiutò la Cina ad evitare le insidie del dominio delle personalità più forti, che sono così comuni in altre società comuniste e post-comuniste. Ci sono sempre stati dubbi sul fatto che il modello guidato dal consenso sarebbe sopravvissuto al primo leader post-Mao della Cina, Deng Xiaoping.
Dopo la morte del padre fondatore della Cina comunista Mao Tse-tung, nel 1976, ci fu una lotta per il potere con enormi implicazioni per la futura direzione della Cina. Da una parte c'era la cosiddetta Gang of Four (guidata dalla moglie di Mao, Jiang Qing), che progettava di continuare l'eredità di Mao.
Dall’altra parte c'era un gruppo di riformatori organizzato attorno a Deng Xiaoping, contemporaneo di Mao, a volte socio, e frequente concorrente. Alla fine Deng vinse e raggiunse la vetta, ma non monopolizzò il potere come aveva fatto Mao. Egli gettò le basi per i successivi trent'anni di governo del Partito Comunista con il consenso dell'élite.
I due successivi leader cinesi sono stati entrambi reclutati e diretti da Deng: Jiang Zemin (Presidente 1993-2003) e Hu Jintao (2003-2013). Sebbene Deng sia morto nel 1997, le personalità a cui ha affidato il potere, hanno governato la Cina negli anni successivi, in gran parte secondo il suo diktat politico, fino all'elevazione di Xi Jinping nel 2013.
Xi è il primo vero leader post-Deng della Cina. Ha consolidato più potere sotto il suo diretto comando personale di qualsiasi altro leader precedente a lui, dai tempi di Mao, e ha usato la sua famosa campagna anti-corruzione per imprigionare un numero senza precedenti di potenziali avversari e rivali.