La Corte Costituzionale, ieri, in riferimento al caso di Dj Fabo, ha affermato che chi, in presenza di determinate condizioni, agevola il suicidio di un paziente affetto da una patologia irreversibile, non è punibile. Una sentenza storica per il nostro Paese che apre al fine vita e "chiama in causa" il Parlamento. Per la maggioranza di Governo, dunque non ci sono più alibi.

Ma il centrodestra e la Cei frenano.

'Ora siamo tutti più liberi'

"In Italia, da oggi, siamo tutti più liberi". Così Marco Cappato, a processo per il suicidio assistito di Fabiano Antoniani in arte Dj Fabo, ha commentato la sentenza della Consulta. Rimasto tetraplegico e cieco a causa di un grave incidente stradale, il giovane, che sopravviveva tra atroci sofferenze grazie ad un sondino, aveva chiesto, in maniera consapevole, di porre fine alla sua vita. Ora, i giudici hanno stabilito che non può considerarsi reato agevolare l'esecuzione dei propositi di suicidio, maturati in maniera autonoma e libera, di un paziente che è tenuto in vita da trattamenti di sostegno ed è affetto da una patologia ritenuta irreversibile ed è fonte di sofferenze di natura fisica e psicologica.

"Ho aiutato Fabiano - ha aggiunto Cappato - perché ho considerato un mio dovere farlo. ed ora, anche la Corte costituzionale ha dichiarato che era anche un suo diritto costituzionale. La Consulta però ha ribadito che è "indispensabile" l'intervento del legislatore, negli ultimi anni già sollecitato più volte ad intervenire sull'articolo 580 del codice penale (norma introdotta 90 anni fa che mette sullo stesso piano istigazione al suicidio ed aiuto al suicidio)

La Corte ha anche posto dei paletti e, in attesa che il Parlamento intervenga ha deciso di subordinare la non punibilità al rispetto di tutte le modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulla sedazione profonda continua e sulle cure palliative.

Inoltre, per evitare che si verifichino degli abusi nei confronti dei pazienti più vulnerabili ha affidato la verifica dell'irreversibilità della patologia e della natura intollerabile delle sofferenze alle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale (che si dovranno confrontare anche con il comitato etico territorialmente competente).

Basta alibi

Il "Palazzo" in queste ore ha risposto alla Corte Costituzionale con dichiarazioni d'intenti. Giuseppe Brescia, presidente M5S della prima commissione di Montecitorio ha dichiarato che esaminare la sentenza sul fine vita è un dovere istituzionale e politico ed ha auspicato un intervento legislativo risolutivo, ma rispettoso dei diritti fondamentali della persona.

Andrea Marcucci, capogruppo dem al Senato ha invitato il Parlamento a fare presto, mentre il costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd) ha sottolineato che sull'aiuto al suicidio non è prevista "nessuna depenalizzazione secca"

Per Leu e per la maggioranza di governo, a questo punto "non ci sono più alibi" ed è il momento di passare alle vie di fatto. Le forze politiche di centrodestra, invece, sembrano essere di tutt'altra opinione. Matteo Salvini, leader della Lega, ha dichiarato, duro: "Sono e rimango contrario ad un suicidio di Stato imposto per legge". E stamattina, a margine del suo intervento a Passignano sul Trasimeno (in Umbria) ha ribadito che non lo approverà mai; poi sottolineando che la vita è sacra ha alzato il tiro affermando che uno Stato che legittima il suicidio non può essere il suo stato.

Anche Massimo Gandolfini, leader del Family Day, ha annunciato battaglia dicendosi disposto a qualsiasi contrasto pur di non arrivare ad una legge e a consentire l’eutanasia attiva. La Cei, Conferenza episcopale italiana, invece, ha espresso il suo sconcerto ed ha voluto esprimere la sua distanza da quanto comunicato dalla Corte costituzionale.