Romano Prodi può, senza ombra di dubbio, essere considerata una delle figure chiave a livello politico che hanno guidato l'Italia nel transito verso la moneta unica europea. Non a caso molti dei suoi detrattori lo hanno spesso accusato di avere un'eccessiva tendenza alla genuflessione nei confronti delle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo. A distanza di diversi anni, fanno rumore le parole rilasciata ai microfoni della trasmissione Rai Mezz'ora in più, condotta da Lucia Annunziata.

Incalzato dalla conduttrice ha, infatti, ammesso che la scelta relativa ad alcune privatizzazioni veniva direttamente da quelle che erano le logiche volute dall'Europa. In particolare, si è fatto riferimento ad un ex pilastro dell'economia italiana, ossia l'Iri, la cui trasformazione in società per azioni nel 1992 continua a far discutere.

Iri: una delle maggiori società del mondo

Iri non è altro che l'acronimo di Istituto per la Ricostruzione industriale. Nato nel 1933, nel dopo guerra rappresentò il principale fulcro dell'intervento pubblico nell'economia italiana. Secondo Wikipedia, nel 1980 si stimava comprendesse 1.000 società con quasi mezzo milione di dipendenti.

Numeri che la rendevano una delle più grandi aziende del mondo, che non fosse americana e attiva nel settore petrolifero. Nel 1992 venne trasformato in società per azioni, per cessare la propria attività un paio di lustri dopo.

Prodi rivela che Europa chiese privatizzazione

In riferimento a quanto, in quell'epoca, accadde all'Iri, Romano Prodi rivela in maniera chiara: "Erano obblighi europei". Il Professore non nasconde che fu quasi costretto ad operare nella maniera in cui gli fu indicato di fare. Il suo racconto fa quasi capire come fu sorpreso che quella richiesta fosse fatta proprio a lui. "A me - sottolinea - che avevo costruito l'Iri, l'avevo risanata e messa posto, era stato dato il compito da Ciampi di privatizzare".

E nelle sue parole sembra abbastanza chiaro che, per lui, quanto accadde fu un boccone amaro da digerire. "Si immagini - sottolinea, rivolgendosi a Lucia Annunziata - se io ero così contento di disfare le cose che avevo costruito". Ed è chiaro anche su cosa mosse la necessità di operare come si fece: "Bisognava farlo per rispondere alle regole generali di un mercato in cui eravamo". Si tratta di parole che, come detto, sono destinate a far discutere e che, ancora una volta, potrebbero dare adito al fatto che, in quel periodo, ci fosse una certa tendenza ad accettare le imposizioni provenienti dai centri del potere europeo senza battere ciglio. Non è un mistero, però, che Romano Prodi resti un europeista convinto.