Dopo le dichiarazioni del neurologo del Policlinico Gemelli di Roma Mario Sabatelli, favorevole alla libertà da parte dei pazienti di interrompere i trattamenti sanitari invasivi nei casi di accertata inutilità degli stessi, un'altra testimonianza arriva a rilanciare il dibattito sull'eutanasia.
Il merito va a Giuseppe Maria Saba, medico sassarese di 87 anni, già primario di Anestesiologia e rianimazione a Cagliari e Roma.
Da 15 anni in pensione, il dottor Saba ha dichiarato, in un'intervista concessa al quotidiano L'Unione Sarda, di aver praticato l'eutanasia in un centinaio di casi, inclusi quelli del padre e della sorella.
Quella della dolce morte, sostiene Saba, "è una pratica abitualmente in uso negli ospedali italiani", tutti ne sarebbero al corrente, in particolare anestesisti e rianimatori, ma non se ne parla per una questione insieme di ipocrisia e riservatezza.
Non sono mancate le immediate reazioni da parte degli specialisti chiamati in causa dal dottor Saba, secondo i quali le più recenti terapie del dolore assicurano risultati che rendono ingiustificabile la pratica dell'eutanasia.
La legge sull'eutanasia
Quello sull'eutanasia è un dibattito che periodicamente si accende in Italia, in corrispondenza di casi che fanno scalpore, come quelli di Piergiorgio Welby o Luca Coscioni, ma che poi ritorna nel dimenticatoio per l'incapacità della politica italiana di affrontare i grandi temi sociali quando questi rischiano di entrare in contrasto con l'etica cattolica.
Lo scalpore suscitato dalle ammissioni del medico sassarese, hanno il merito di riportare l'attenzione su un argomento per il quale si è speso anche il Presidente Giorgio Napolitano, con un appello al Parlamento affinché prenda in esame la questione.
In questo momento è ferma alla Camera una legge di iniziativa popolare promossa dall'Associazione Luca Coscioni e sostenuta da 70 mila firme, che propone l'istituzione del testamento biologico, cioè la possibilità di lasciare disposizioni sui trattamenti cui essere sottoposti in caso di coma irreversibile o per abbreviare stati di agonia, così come avviene in molti paesi europei.