La fibromialgia, sindrome funzionale (neurologica, endocrinologica, immunologica) ad eziologia sconosciuta, sta aumentando insieme a obesità, insulino resistenza e diabete: il 40-60% dei soggetti fibromialgici è obeso e presenta maggiori sintomi di dolore e fatica.

L’esperienza clinica e la ricerca raccomandano l’esercizio fisico come trattamento di prima scelta, antecedente alla terapia farmacologica; tuttavia non tutti i pazienti ne traggono vantaggio, come hanno dimostrato i ricercatori del Dipartimento di Reumatologia e Ricerca sull’Infiammazione, Università di Gothenburg (Svezia), in un lavoro pubblicato su BMC Muscoloskeletal Disorders nel marzo 2017.

Donne affette da fibromialgia e normopeso, sovrappeso od obese in base all’indice di massa corporeo (BMI), sono state sottoposte ad esercizi di resistenza della durata di un’ora, due volte alla settimana per 15 settimane.

Solo le donne normopeso hanno ottenuto un miglioramento del dolore, della fatica e un aumento della forza muscolare degli arti superiori, oltre a presentare modifiche nel sangue di alcuni parametri metabolici coinvolti nel dolore (fattore di crescita insulino-simile IGF-1 e leptina); quelle in sovrappeso e obese hanno mostrato, invece, solo un lieve incremento della forza muscolare (nella flessione del gomito), senza altri ulteriori vantaggi.

I sintomi della fibromialgia sono stati, dunque, influenzati dal BMI: ciò suggerisce che gli esercizi di resistenza vanno abbinati, quindi, ad interventi dietetici mirati alla perdita di peso allo scopo di ottenere benefici per una popolazione più ampia.

Fibromialgia e fattori metabolici

E’ caratterizzata da dolore cronico generalizzato che interessa 11/18 tender points (punti muscolari utilizzati per la diagnosi), difficile da trattare e con limitazioni delle attività quotidiane.

In questi pazienti sono stati osservati livelli maggiori di citochine infiammatorie e alterazioni dei fattori di crescita neurotrofici nel sistema nervoso centrale e periferico, mediatori dell’ipersensibilità al dolore.

Tra questi l’IGF1, che è implicato nella proliferazione cellulare del muscolo scheletrico, di altri tessuti periferici e del sistema nervoso centrale, e la leptina, regolatore centrale della sazietà e del peso corporeo.

Studio clinico

Hanno partecipato 43 donne, con fibromialgia, di età compresa tra 20 e 65 anni (normopeso con BMI inferiore a 25 kg/m2, in sovrappeso con BMI tra 25 e 29.9 kg/m2, obese con un BMI maggiore o uguale a 30 kg/m2).

Sono state sottoposte ad esercizi di resistenza progressivi, per minimizzare il rischio di aumento del dolore iniziale sotto carico di pesi. La sessione, della durata di un’ora, iniziava con 10 minuti di riscaldamento, seguita da esercizi di resistenza per gambe, braccia, mani e terminava con un esercizio di stretching.

Prima e dopo il trattamento sono stati misurati i livelli di dolore e fatica, la forza di estensione del ginocchio, la flessione del gomito e l’impugnatura; sono stati misurati, inoltre, alcuni fattori metabolici coinvolti nel dolore.

L’attività fisica ha indotto cambiamenti funzionali e neutrofici nella regione cerebrale (ippocampo) implicata nel dolore cronico, ma solo nei soggetti normopeso: migliore connettività funzionale e modifiche di fattori di crescita, modulatori della plasticità neuronale.

L’infiammazione cronica lieve presente negli individui in sovrappeso/obesi è, quindi, una condizione peggiorativa della fibromialgia.