Su Human Reproduction Update, prima firma N.S. Kakoly, è stato appeno pubblicato uno studio australiano - una metanalisi su 4530 studi pubblicati, di cui 40 eleggibili per le valutazioni finali - sul rapporto tra sindrome dell'ovaio policistico (PCOS), ridotta tolleranza al glucosio e diabete mellito di tipo 2. Questo è solo l’ultimo esempio dei tentativi di ricomporre un mosaico, al fine di individuare la causa di una patologia che affligge fino al 10% delle donne in età fertile.

In questo ambito una risposta è arrivata da uno studio, coordinato dall’italiano Paolo Giacobini dell’Università di Lille, in Francia, e pubblicato a fine maggio sulla rivista Nature Medicine. Questo studio, verificato anche su modelli animali in laboratorio, ha individuato nella eccessiva produzione (30% superiore alla media) di un ormone prodotto dalle ovaie, l’antimulleriano (AMH, dall’inglese Anti-Müllerian Hormone), la causa della sindrome dell’ovaio policistico. Associato a tassi elevati di testosterone, queste donne lamentano una eccessiva peluria (irsutismo), l’assenza di mestruazioni (amenorrea) e disturbi metabolici (obesità).

Scoperto la causa dell'ovaio policistico, adesso la cura

Un team di ricercatori francesi, coordinati dall’italiano Paolo Giacobini dell’Università di Lille, con la partecipazione di ricercatori finlandesi, svedesi e dell’Università di Torino, hanno dimostrato per la prima volta la causa della sindrome dell'ovaio policistico (PCOS, dall'inglese Poly-Cystic Ovary Syndrome). L’antimulleriano (AMH) è un ormone prodotto dalle ovaie (e dai testicoli nei maschi) e gioca un ruolo molto importante nel corretto funzionamento delle stesse. Era già noto che le donne incinte, affette da questa patologia, avevano una produzione di AMH superiore di almeno il 30% rispetto alla media. E queste condizioni potevano essere ereditate dalle figlie femmine.

Inoltre, tale eccesso era direttamente correlato all’eccesso di un altro ormone, prevalente nell’uomo ma presente anche nelle donne: il testosterone. Come conseguenza, queste donne hanno un eccesso di peluria (irsutismo), l’assenza di mestruazioni (amenorrea) e disturbi metabolici (obesità).

I ricercatori hanno quindi messo a punto un modello animale (topi) per riprodurre in laboratorio questa condizione ormonale, e cercare quindi di studiarla.

Ai topi femmine, incinte, hanno somministrato l’ormone antimulleriano e sono andati a monitorare la condizione delle figlie. L’AMH induce una riduzione, a livello della placenta, della trasformazione del testosterone in estradiolo, lasciando il feto in una condizione ormonale “mascolinizzata”.

Le piccole, crescendo, avevano un quadro clinico paragonabile a quanto tipicamente osservato nelle donne affette dalla sindrome dell’ovaio policistico: ritardata pubertà e difficoltà a riprodursi.

Se a questi animali i ricercatori somministravano dei farmaci antagonisti del GnRH (l’ormone rilasciante gonadotropina), farmaci normalmente usati nella fecondazione assistita, i sintomi indotti dalla somministrazione dell’AMH si annullavano.

Sarà questo il punto di partenza da dove iniziare una sperimentazione clinica con l’obiettivo di dare una soluzione farmacologica alle tante donne che soffrono di questa sindrome.

La situazione attuale

Quella della PCOS, o sindrome dell’ovaio policistico, è una patologia molto complessa che può evolvere in una condizione di infertilità e di obesità.

Finora non si conosceva la causa scatenante di questa malattia che è spesso ereditaria. Il nome “policistico” deriva dal fatto che ad un esame ecografico, la superficie esterna dell’ovaio si presenta “a collana di perle” ovvero coperto da una serie di microcisti.

Tra le conseguenze più frequente lamentate dalle donne colpite da questa sindrome, oltre alla già citata disfunzione ormonale, fino alla mancanza di ovulazione (anovulazione), c’è anche la resistenza all’insulina. Queste donne producono molta insulina per smaltire il glucosio ingerito ma spesso questo non è sufficiente e si registra un aumento della glicemia. A queste signore viene consigliata una dieta ricca di cereali, legumi, e verdura.

Frutta, non in quantità eccessiva e solo associata a pasti ricchi di fibre, meglio quindi a fine pasto. In quanto alla pasta è preferibile quella integrale e cotta al dente. Sono tutti consigli per non avere un picco glicemico elevato dopo un pasto.

Tutto questo nell’attesa che le novità appena descritte aiutino a tracciare la strada verso una soluzione farmacologica permettendo a queste donne di vivere, sotto ogni punto di vista, una condizione del tutto normale.