I cibi ultraprocessati sono quelli caratterizzati da un alto grado di lavorazione durante il processo di produzione. E sono fortemente dannosi per la salute: è questo il risultato di uno studio condotto dall'Istituto di ricerca a carattere scientifico Neuromed di Pozzilli (Isernia), in collaborazione con l’Università dell’Insubria di Varese e Como, l’Università di Catania e Mediterranea Cardiocentro di Napoli e pubblicato dal British Medical Journal.

I ricercatori sono arrivati a tale conclusione seguendo 22 persone per un periodo di 12 anni.

Lo studio Neuromed

Il gruppo di ricerca ha preso in considerazione sia gli aspetti nutrizionali degli alimenti consumati dai partecipanti allo studio, sia il grado di trasformazione industriale. Entrambi questi fattori accrescono il rischio di mortalità, soprattutto per patologie cardiovascolari. Tuttavia, il grado di lavorazione industriale è il principale fattore per definire il rischio di mortalità. Le attuali etichette nutrizionali riportano solo indicazioni quali/quantitative di ingredienti quali zuccheri, grassi, proteine ecc ma ciò rischia di essere fuorviante.

"I nostri risultati – dice Marialaura Bonaccio, epidemiologa del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli e primo autore dello studio – confermano che il consumo sia di alimenti di scarsa qualità nutrizionale che quello di cibi ultra-processati aumenta in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari".

Cosa valutare

L'opinione comune, infatti, abbina il concetto di "cibo ultraprocessato" con l'idea di "cibo spazzatura": ad esempio bibite gassate, snack dolci o salati, creme spalmabili. In realtà, vi sono categorie di alimenti ritenuti salutari, quali fette biscottate, yogurt alla frutta o alcuni tipi di cereali da colazione, che rientrano invece tra i cibi ultraprocessati.

Conservanti, esaltatori di sapidità, edulcoranti di vario genere fanno parte del processo di lavorazione industriale. Al termine dell'iter spesso rimane assai poco dell'originale alimento rimasto integro. Tipico esempio, le bibite a basso contenuto di zuccheri o i dolci freddi con pochi grassi, che le attuali etichette nutrizionali indicano come adeguati. Contengono invece una percentuale considerevole di additivi e sono altamente lavorati. Molti dei cibi "senza" (senza glutine, senza lattosio) nonché di quelli "arricchiti" rientrano in tale categoria.

Un aiuto per la prevenzione

Le attuali stime indicano che una morte su cinque nel mondo sia legata a scorretta alimentazione, per un totale di milioni di morti annuali evitabili.

Secondo dati OMS, circa la metà dei bimbi italiani mangia snack di vario tipo più di tre vote alla settimana e consuma abitualmente bibite zuccherate. La prevenzione e l'educazione alimentare sono comprensibilmente una priorità dei vari sistemi sanitari nazionali. Migliorare le attuali etichette degli alimenti, aggiungendo alla composizione anche una chiara indicazione di livello e modalità di lavorazione, aiuterebbe i consumatori ad identificare i cibi ultraprocessati ed a compiere scelte più oculate.