Nell'epoca di Internet, sembrava che ogni informazione fosse destinata a rimanere per sempre disponibile alla portata di chiunque e, soprattutto, che non esistesse per nessuno il diritto all'anonimato. Volente o nolente. Ci ha pensato la Corte Europea a stabilire invece che il diritto all'oblio è inviolabile non solo da chi pubblica informazioni su internet, ma anche dai motori di ricerca che recuperano e ripropongono tali informazioni.

Conseguentemente, il colosso Google è stato condannato in seguito alla causa mossa da un cittadino spagnolo che nel 2010 aveva ritenuto lesivi della sua immagine alcuni contenuti reperibili in rete e che Google proponeva come primi risultati ricercando il suo nome.

Una sola sentenza, un diritto per (quasi) tutti

Sancito il diritto, Google ha quindi messo a disposizione un apposito modulo da compilare per chiedere che le pagine e le informazioni relative al proprio nome non vengano mostrati nei risultati delle ricerche. È importante sottolineare che non si tratta della vera e propria eliminazione dei dati esistenti, ma più semplicemente di una censura che Google opererà nell'esposizione dei risultati relativi alle specifiche ricerche, mentre le pagine e le informazioni rimarranno comunque disponibili a chi ne conosca l'indirizzo.

Inoltre il diritto all'oblio non viene riconosciuto a tutti, ma esclusivamente ai cittadini dell'Unione Europea, i quali, alla luce della recente sentenza, potrebbero facilmente ottenere provvedimenti analoghi. Per quel che riguarda il resto del mondo, la politica di Google sembra rimanere invariata.