Come lo studio di Leonardo da Vinci anche quello del ricercatore Giovanni Saggio non smentisce la caotica genialità delle persone che amano il proprio lavoro. Il giovane professore però, al posto della carta e della penna leonardesche, usa modernissimi computer e materiali all'avanguardia per ideare i suoi progetti e realizzare le sue invenzioni. Quando espone le sue ricerche trasmette la sua passione e ti trascina nel campo affascinante delle biotecnologie. La lista dei progetti, premi e brevetti, vinti e sviluppati dal professor Giovanni Saggio è davvero lunga: 8 Premi Scientifici, 6 Progetti di Ricerca, 2 Spin-off Universitari (vincitori di 6 premi totali), 5 Brevetti (di cui 2 con estensione internazionale), per non parlare della lunga attività come relatore di tesi di laurea e di dottorato.

Ha scritto quattro libri di elettronica. È stato vincitore del Bando “Promotori Tecnologici per l'Innovazione - Technology Promoters for Innovation".

Come è nata la sua passione per le biotecnologie?

Sono stato in passato, e lo sono tutt’ora, titolare di cattedre di “elettronica”. La mia passione è nata quando ho iniziato ad insegnare a studenti universitari iscritti alla facoltà di medicina. È stata questa mescolanza di campi che mi ha permesso di aggiungere alle conoscenze della mia macro-area di Ingegneria (io sono specializzato in Ingegneria Elettronica), quelle attinenti alle professioni sanitarie. Insegnando ai futuri tecnici in campo medico e collaborando con medici chirurghi di notevole esperienza e bravura, ho potuto avere interessanti confronti sulla tecnica ospedaliera.

È da queste discussioni che si è amplificata la mia (già esistente) passione per le biotecnologie. È da lì che sono nate le mie idee su nuove possibilità di sistemi elettronici che potevano aiutare non solo i medici, ma anche i pazienti.

Qual è stato il suo percorso professionale?

Ho conseguito la laurea in Ingegneria Elettronica all’università “Tor Vergata” di Roma nel 1991, e il Dottorato di Ricerca in Ingegneria delle Telecomunicazioni e Microelettronica nella stessa università nel 1997.

Sempre nel 1991 ho preso l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere e mi sono iscritto all’Albo degli Ingegneri di Roma nel 1993. Nel 1997 sono diventato ricercatore sempre all’università “Tor Vergata” e nel 2006 professore aggregato presso la stessa università. Nel 1997, per la tesi di laurea, ho trascorso 6 mesi in Scozia all’università di Glasgow presso il “Department of Electronics and Electrical Engineering”.

Inizialmente dovevo svolgere una attività scientifica già programmata, ma poi ho convinto i miei supervisori - i professori Arnaldo D’Amico e Steve Beaumont - ad “invertire la rotta” e lasciarmi portare avanti una mia idea. Ne è nato un nuovo tipo di transistore che è stato premiato da un bando della Texas Instruments. Sempre nel 1997, ho trascorso un mese all’università inglese di Cambridge, presso il dipartimento di Fisica, al “Microelectronics Research Center” per poter usare un macchinario particolare che avevano pochi centri in tutto il mondo anno. Un “semplice” tesista, come ero io, ha avuto modo di “metter mano” su uno strumento del valore prossimo al milione di euro, una bella responsabilità che, fortunatamente, ha prodotto risultati interessanti.

E infine nel 1996 ho trascorso 6 mesi ad Oxford, presso il “Rutherford Appleton Laboratory”, durante il ciclo di Dottorato.

Ha lavorato spesso in Inghilterra. Quali sono le differenze che ha riscontrato, in qualità di scienziato, tra il nostro paese e quelli esteri?

Ho trovato profonde differenze tra l’Italia e l’estero, in particolare negli altri paesi europei: da noi c'è una burocrazia “invalidante”. Troppo tempo e troppe carte da gestire per qualunque cosa si faccia, dal comprare una risma di carta, alle attrezzature dal laboratorio, alla gestione delle missioni. Da noi il budget per la ricerca è inesistente. Per trovare fondi l’unica possibilità è partecipare a bandi a livello locale, nazionale o internazionale.

Per vincere un bando non basta un’ottima idea da sviluppare, occorre una struttura di supporto per l’amministrazione, un laboratorio all’avanguardia, una gestione tecnica del laboratorio - tecnici che intervengano per manutenzione - una struttura di supporto alla divulgazione dei risultati, una struttura di supporto per la ricaduta dei risultati presso le imprese. Riguardo l’ottima idea da sviluppare noi italiani sappiamo ben dire la nostra, ma per tutto il resto, a livello paese, non siamo adeguatamente attrezzati e, a causa di procedure estremamente farraginose e dei pochi investimenti nella manutenzione, anche la buona volontà del personale universitario non può risolvere il tutto.

Quali consigli darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso professionale?

Di cercare opportunità all’estero...

Ci parli delle sue invenzioni..

Sono stato uno dei precursori a livello internazionale del "guanto sensorizzato". Quando viene indossato il guanto permette di misurare i movimenti di ogni singola articolazione delle dita. È già stato testato ed utilizzato per valutare il recupero funzionale della mano dopo un’operazione chirurgica; per tradurre il linguaggio dei sordo-muti; simulare uno strumento musicale; valutare la “destrezza” manuale dei chirurghi; e nella scherma per analizzare il gesto di movimento del “fioretto”. Nuovi sensori indossabili per misurare la postura e i movimenti, sviluppati insieme a miei ex tesisti che hanno fondato lo spin-off “Captiks” sono stati utilizzati sia in campo sportivo dal Bologna e dal Perugia calcio e anche dai ciclisti professionisti e sia in campo medico per aiutare i bambini con disturbi motori e i malati di Parkinson.

È stato molto entusiasmante veder applicata anche un’altra invenzione alla quale ho collaborato e che ha sviluppato la “PFM Multimedia” di Milano: gli ologrammi a grandezza d’uomo utilizzati in una domus di Pompei, attraverso cui siamo riusciti a “resuscitare” un antico romano e sua moglie e a fargli descrivere un loro giorno.